Monza, Roche: «Allo studio l’antivirale orale contro il Covid. Se i trial saranno positivi e verrà approvato produzione su larga scala»

L’ad di Roche Italia Maurizio De Cicco spiega i piani contro il Covid 19: allo studio su pazienti ospedalizzati con malattia moderata ma anche sui non ospedalizzati un farmaco da assumere per bocca. Procede lo sviluppo del cocktail di due anticorpi monoclonali. Casirivimab e imdevimab hanno il via libera per i pazienti Covid-19 che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e ad alto rischio di progredire verso una forma severa.
Maurizio De Cicco
Maurizio De Cicco Paolo Rossetti

Non solo vaccini, la lotta delle aziende farmaceutiche contro il Covid viaggia anche in altre direzioni. Come quelle intraprese da tempo, su più livelli, da Roche, che proprio a Monza ha il suo headquarter italiano. Si parla di un antivirale orale, un farmaco che i malati Covid possono assumere per bocca. Lo spiega Maurizio De Cicco, presidente e amministratore delegato di Roche Italia

L’attività di Roche sul fronte Covid si è sviluppata su diversi livelli, ora però si parla di una ricerca sul primo antivirale orale, in cosa consiste e a che punto siete?

A poco più di un anno dall’inizio della pandemia, forse la lezione più grande che abbiamo appreso è che per fronteggiare un’emergenza di questa magnitudo è necessaria non solo la collaborazione e l’impegno di tutti gli attori del sistema salute, ciascuno per le proprie competenze, ma anche l’introduzione di approcci e di soluzioni integrate.

Come Roche, fin dai primissimi esordi, abbiamo cercato di mettere a servizio del Paese tutte le nostre risorse: economiche, umane e scientifiche; potendo contare su un expertise unico, che integra le competenze farmaceutiche con quelle diagnostiche, oggi siamo in grado di fornire un portafoglio di terapie immunologiche e antivirali e di test diagnostici all’avanguardia per lo screening, il trattamento e il monitoraggio della malattia da Covid-19.

Il virus continua a diffondersi rapidamente in tutto il mondo e i vaccini da soli non sono sufficienti, servono approcci sinergici. Ecco perché stiamo collaborando con i nostri partner per identificare e studiare più opzioni possibili che possano aiutare diversi sottogruppi di pazienti, con l’obiettivo finale di ridurre la necessità di ricovero in ospedale. L’ultimo accordo in ordine di tempo è quello che abbiamo raggiunto in ottobre con un’azienda di biotecnologie americana, Atea Pharmaceuticals, per sviluppare, produrre e distribuire congiuntamente il primo antivirale orale, che ha ancora il nome sperimentale AT-527. La molecola è attualmente in studio sia nei pazienti ospedalizzati con malattia moderata che in quelli non ospedalizzati. Se i risultati dei trial in corso fossero positivi e il farmaco venisse approvato dalle autorità regolatorie, si potrebbe avviare una produzione su larga scala e garantire un ampio accesso ai pazienti poiché si tratterebbe di una molecola di piccole dimensioni, più semplice da produrre.

Uno degli studi che si stanno portando avanti in questo settore è anche quello di farmaci basati su anticorpi monoclonali, già all’attenzione delle autorità del farmaco, Aifa ed Ema. In che cosa consistono?

Il cocktail di due anticorpi monoclonali, casirivimab e imdevimab, è il frutto di un’altra nostra collaborazione, questa volta con l’americana Regeneron, siglata ad agosto dello scorso anno che, in pochi mesi, ha portato all’approvazione della combinazione di questi due farmaci per l’uso in emergenza sia in Italia sia in Europa. Casirivimab e imdevimab hanno, per ora, avuto il via libera delle autorità regolatorie per il trattamento di pazienti con malattia da Covid-19 che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e che sono ad alto rischio di progredire verso la forma severa della malattia. A livello italiano, stiamo lavorando insieme ad Aifa e al commissario straordinario all’emergenza per fare in modo che questa terapia possa arrivare nel nostro Paese nel minor tempo possibile.

La ricerca comunque non si ferma, sono in corso numerosi studi su questa combinazione di farmaci, che al mese di febbraio avevano coinvolto circa 23.000 persone, per verificare se possa essere efficace anche in altre tipologie di pazienti o riesca a prevenire l’infezione nelle persone esposte al virus.

Già dall’anno scorso è in uso un farmaco antireumatico indicato per contrastare le infiammazioni polmonari dovute al Covid. L’esperienza di questi mesi ha confermato l’efficacia del farmaco?

La storia di tocilizumab ci accompagna fin dall’inizio di questa pandemia quando la mancanza di farmaci utili a contrastare l’aggravamento delle condizioni di salute dei pazienti con Covid-19 era il bisogno più urgente a cui dare risposta. Per questo motivo, ci siamo subito resi disponibili a condurre studi clinici che dimostrassero l’efficacia e la sicurezza di tocilizumab, il nostro farmaco per l’artrite reumatoide, già utilizzato con risultati incoraggianti da diversi operatori sanitari italiani e cinesi. Diversi studi clinici sono stati approvati in tempi record e li abbiamo sostenuti, collaborando con le autorità regolatorie e i ricercatori, fornendo gratuitamente il farmaco a tutti i centri italiani coinvolti nella sperimentazione.

Un recentissimo studio condotto in UK su un’ampia numerosità campionaria ha dimostrato che tocilizumab è in grado di ridurre significativamente la mortalità nei pazienti ospedalizzati con evidenti sintomi respiratori. Altre conferme speriamo arrivino a breve dai trial clinici ancora in corso perché più armi avremo a disposizione e più possibilità avremo di contrastare efficacemente il virus.

Per contribuire alla diagnosi sulla presenza del virus avete realizzato diversi test, quali e quanti sono e che tipo di affidabilità hanno?

Dall’inizio della pandemia la nostra divisione diagnostica ha lanciato ben dieci differenti test diagnostici per il Covid-19 con l’obiettivo di fornire al clinico informazioni a largo spettro. Si tratta di tutto il ventaglio di quei test che, in questi mesi, sono entrati nel nostro lessico comune come antigenici, anticorpali, sierologici e rapidi. Ciascuno di questi ha i propri dati di specificità e di sensibilità, che sarebbe troppo lungo trattare qui, ma che sono dimostrati attraverso studi condotti con il rigore che ci è proprio.