«In questi anni in Italia mi sono interrogato sul ruolo di noi missionari, che forse dovremmo avere più coraggio nel ridire le ragioni dell’evangelizzazione, qui a casa». Padre Fabrizio Calegari, missionario monzese del Pime è partito lunedì pomeriggio per ritornare in Bangladesh, dopo quattro anni passati a servizio del Centro Pime di Milano, dove si è occupato di animazione missionaria soprattutto giovanile. Un lungo periodo durante il quale padre Calegari ha potuto incontrare famiglie, giovani, educatori, insegnanti catechisti, e ritornare spesso nella sua parrocchia d’origine, il duomo.
«Una cosa che ho notato subito è la sostanziale paralisi nelle quale vive la Chiesa italiana, apparentemente incapace di darsi una sveglia di fronte alla progressiva desertificazione delle nostre comunità. – spiega – L’ho visto anche qui, nella mia città. Ho avvertito spesso la sensazione di scoramento e sconforto, ma ho percepito anche da qualcuno la voglia di cambiare e ripensarsi come Chiesa e popolo di Dio». Significativo un esempio che più volte padre Fabrizio ha raccontato a chi gli chiedeva suggerimenti per riportare i ragazzi e le famiglie negli oratori.
«La catechista che racconta scandalizzata che nessuno dei suoi bambini sa fare il segno della croce è l’icona di una Chiesa che non capisce una cosa fondamentale: questa nuova situazione non è un dramma ma una straordinaria opportunità, quella del primo annuncio, senza precomprensioni o pregiudizi, con il grande privilegio di poter raccontare Gesù a chi ancora non lo conosce. Credo che non possa esserci occasione più grande». Ecco allora la portata storica di questo momento, e l’importanza di mostrare ai più giovani soprattutto un nuovo volto di Chiesa.
«Intorno al Pime, tra cammini annuali e proposte estive, arrivano circa 500 ragazzi ogni anno. È un patrimonio che non va sprecato». Ritorna quindi l’importanza del ruolo missionario in casa, tra la propria gente. «In Italia il fatto di vivere dentro la stessa cultura non significa automaticamente comprenderla. Parlare la stessa lingua non vuol dire farsi capire da tutti, anzi spesso accade proprio il contrario, la stessa liturgia appare a volte soltanto oscura. Gli anni di missione mi hanno insegnato che siamo noi a dover raggiungere la gente. Occorre cambiare la concezione tolemaica della parrocchia. Non dobbiamo chiederci perché la gente non viene più in chiesa, ma cosa possiamo fare per raggiungerla».
Un ultimo accenno lo riserva al lavoro prezioso dei laici. «È tempo di cambiare rotta, non si può più pensare al prete solo al comando. In Italia troppo spesso ho avvertito la solitudine dei sacerdoti, e credo che la vita di comunità possa essere il miglior antidoto a tante fatiche».
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Gli anni di missione
mi hanno insegnato che siamo noi a dover raggiungere la gente
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Padre Calegari vola in Bangladesh «Ma oggi la vera missione è qui»
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A.MONTICELLI
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