Monza, l’ultimo saluto a Giorgio Fustinoni: pioggia di ricordi per il coach «che ha allenato alla vita»

Monza ha salutato Giorgio Fustinoni e si è stretta alla famiglia. Il ritratto tracciato dai suo alunni del Liceo Frisi, un flusso di ricordi che non è sbiadito con il passare degli anni e non si esaurirà.
Monza Funerale Giorgio Fustinoni
Monza Funerale Giorgio Fustinoni Fabrizio Radaelli

Un Duomo pieno nei limiti consentiti dall’emergenza sanitaria, altre persone distanziate sul sagrato, un pallone da basket, ex studenti ed ex giocatori, le istituzioni presenti con gli stendardi e i sindaci Dario Allevi, Roberto Scanagatti, Marco Mariani, Michele Faglia, Rosella Panzeri: Monza mercoledì si è stretta alla famiglia nell’ultimo saluto a Giorgio Fustinoni, scomparso a 74 anni. Colonna dello sport in città, insegnante, educatore, consigliere comunale e politico.

Il ritratto tracciato dai suo alunni del Liceo Frisi, un flusso di ricordi che non è sbiadito con il passare degli anni e non si esaurirà.

Monza, l’ultimo saluto a Giorgio Fustinoni:  pioggia di ricordi per il coach «che ha allenato alla vita»
Monza Giorgio Fustinoni: in uno scatto il carisma e la passione in campo

Chicco Roveris: “Indimenticabili le pause pranzo in biblioteca, con lui e gli altri professori, quando iniziai i laboratori teatrali. Aveva un’ironia tutta sua, occhi vispi, un sorriso aperto che sapeva trasmettere gioia. Quelle pause duravano anche delle ore. Restammo lì per il pranzo finché la vicepreside ci cacciò. Ho continuato a seguirlo da lontano, anche nella sua avventura politica”.

Federico Del Felice: “È stato mio professore al Frisi solo per un anno, ma la comune passione per il basket ci ha legato anche dopo la maturità. Proprio nel 1996, l’anno del diploma, ho iniziato a fare l’arbitro di pallacanestro. Quando ci incontravamo sui campi mi dava l’impressione di essere sempre informato e interessato. Ho anche arbitrato le sue squadre: è sempre stato onesto e corretto sul campo come nella vita”.

Marta Rossi: “Quando ero in terza al liceo Frisi sono stata atleta professionista di pallavolo, giocavo a Sesto San Giovanni in A1. Alla fine di quella stagione mi infortunai e mi ricordo che il prof mi parlò e mi incoraggiò ad andare a vanti, mi disse che avrei superato quel momento. E così è stato. Dopo la maturità abbiamo continuato a sentirci. Lo ricordo commosso e partecipe al funerale del professor Zilio. Indelebile la sua immagine con fischietto e cronometro al collo”.

Paola Radice: “Non ho un aneddoto particolare per ricordare Giorgio, ma posso sicuramente ritenermi fortunata perché la mia vita ha incrociato spesso la sua strada, prima alle elementari dove era istruttore di minibasket, poi al Frisi dove poter ritrovare il suo viso amico e la sua attenzione faceva sentire un po’ meno sperduti soprattutto i primi tempi. E non mi stupisce pensare che il nostro ultimo incontro sia stato lo scorso anno ad un conferenza sulla partecipazione e la cittadinanza attiva: perché se penso a Giorgio, era esattamente questo, un educatore, una splendida persona, un uomo con un interesse reale verso gli altri. Mancherà tanto”.

Alberto Cartasegna: “Insegno Educazione Fisica”, disse. “Bisogna sostanzialmente SU-DA-RE”. Così si presentò Giorgio Fustinoni, uomo d’altri tempi e personaggio mitologico del corpo docente, a noi pischelli che fummo tra i suoi alunni al Frisi, agli albori degli anni duemila. E aveva decisamente ragione. Micidiali le sue esercitazioni alla pertica, al quadro svedese o – peggio – sotto il sole cocente della pista di atletica tra un test di Cooper ed una dimostrazione pratica del Fosbury. Disposta la classe in silenziosa fila indiana, al tuo turno Fustinoni ti incitava come se fosse la finale delle olimpiadi. A chiudere gli occhi per un attimo quasi ci credevi, di essere forte. Ma guai a tergiversare troppo, a rallentare la rincorsa, a ciurlare nel manico, come diceva lui. Con uno scappellotto e uno sguardo beffardo, dietro gli occhialoni dalle sottili lenti fumé, ti riportava immediatamente coi piedi per terra. Fustinoni ci insegnò che nelle cose, nella vita, ci si deve buttare. Vincere o perdere poi è un’altra storia, ma ciurlare nel manico, quello mai”.

Lorenzo Sala: “Giorgio Fustinoni era un educatore, prima che un docente liceale, un professore, un insegnante di educazione fisica, un allenatore di pallacanestro; al netto delle cazzate e della retorica. Era un pastore di adolescenti e nemmeno la mia immaginazione più fervida me lo avrebbe saputo incasellare in un ruolo differente. Era attento ai suoi studenti, alle persone tutte, ai ragazzi che per decenni gli hanno marciato dinanzi e -soprattutto- ai venti contrari che potevano minarne il percorso formativo, prima ancora che scolastico. Annullava le distanze, con naturalezza, abbatteva i ruoli, azzerava le gerarchie, con l’intelligenza cristallina e la personalità forte che gli eran proprie: per Lui, la stimatissima professoressa Cedrazzi (pianta insieme in un abbraccio poco più di un anno fa) era semplicemente Fiammetta; il vicepreside Giuseppe Meroni ovviamente solo Peppo; ed io, ultimo di millemila studenti sfrecciatigli sotto il naso nei lustri frisini: il Lorenzo, mica Sala. Dinanzi agli scempi e ai quaquaraquà della politica e delle istituzioni mi son fermato sovente, proprio in quest’ultimo anno surreale, a pensare allo spessore di personaggi come Lui, a certe schiene dritte come la Sua, all’esempio che molti Professori della medesima generazione (che ho avuto l’onore di conoscere) hanno saputo portare, ed alla credibilità che il Professor Fustinoni ha sempre dimostrato. Intellettualità dal profilo basso, riferimento granitico, impegno autentico. Grazie di tutto, Prof”.

Filippo Saini: “Nel mio ricordo indossavo una canottiera gialla di cotone, di quelle che da una ventina d’anni abbondanti non si vedono più e giocavo il torneo del liceo. Un attimo prima avevo la palla in mano, quella arancione, ed un attimo dopo le avevo dato un calcione, facendo una vetrata a pezzi, o forse non a pezzi, quello non me lo ricordo. Chi si dimentica invece il professor Fustinoni che prima scuote la testa, poi fischia a lungo, con calma, e mi sbatte fuori prendendomi per un braccio, senza aver smesso per un secondo di guardarmi dritto in faccia, perché mi arrivasse tutto il suo messaggio silenzioso, e non mi fosse risparmiata neppure una virgola. Erano gli anni in cui nella mia testa adolescente c’erano i buoni, come me, ed i cattivi che reprimevano e tifavano la Forti&Liberi. Poi, beh, poi sono diventato grande”.

Claudio Rosa: “Giorgio è stato il mio primo allenatore di minibasket. Avevo 10 anni. Lui era del 1947. Era coscritto di mia mamma. Era il nostro allenatore, ma per molti versi, per noi pivellini ai primi passi sul parquet della Forti e Liberi, Giorgio era un papà aggiunto. Con noi sapeva essere scherzoso e severo, e sempre al momento giusto. Non dimenticherò mai il suo vocione guidarmi nei mie primi “terzo tempo” e “taglia fuori”. O gridare di non ammassarci tutti sulla palla come mosche sulla cacca. Ma insieme ai fondamentali del basket, Giorgio ci insegnava anche a prenderci le nostre responsabilità, sia in campo che nello spogliatoio. Toccava a noi prenderci cura delle nostre cose. Guai se un genitore si azzardava a mettere un piede nello spogliatoio. Ed era nostra responsabilità essere svegli e reattivi in campo, sempre rispettosi verso l’arbitro e gli avversari. Ci insegnava il basket e la vita con rigore e simpatia. Giorgio è stato una figura importante nel mio passaggio da essere bambino ad adolescente, e per questo lo ricorderò sempre con grandissimo affetto e gratitudine”.

Andrea Valagussa: “È stato il mio coach di basket alla Forti fin da quando facevo le elementari. L’ho ritrovato quarant’anni dopo quando mio figlio ha iniziato microbasket alle Canossiane. È stato bello incontrarlo, si ricordava ancora di me. Gli piaceva vincere. Mi ricordo che da allenatore ci urlava “rimba” che significava a seconda delle occasioni: rimbambito o rimbalzo”.

Nicola Bencini: “Per lui ero Nicolino e mi ha sempre chiamato così anche quando sono cresciuto: ogni volta che mi incontrava in giro per Monza dimostrava lo stesso inalterato affetto.Di grande umanità, trattava noi ragazzi con estremo rispetto. Un giorno al liceo palleggiavo in cortile e lui mi guardava dall’alto, da una delle finestre aperte: mentre lo facevo un po’ mi prendeva bonariamente in giro, un po’ mi dava consigli. Com’era il suo stile”.

Don Ugo Lorenzi: “Per chi come me non giocava a basket era un po’ frustrante stare accanto a Fustinoni. Ma era talmente appassionato del suo ruolo che riusciva a tirare fuori il meglio anche da gente come me. Ti sentivi osservato, guardato bene anche fuori dal campo, era lo sguardo di chi aveva interesse a conoscerti. Capiva subito i nostri giochetti, quando non avevamo voglia di faticare inventando di non aver portato a scuola tuta e scarpe. Lui ci scopriva sempre”.

(* testimonianze raccolte da Federica Fenaroli

e Sarah Valtolina)