Monza, la seconda ondata nei numeri dei funerali e nel lavoro delle pompe funebri

L’aspetto più drammatico della seconda ondata nelle parole di chi lavora nelle pompe funebri: a Monza il doppio dei funerali di un anno fa, a metà novembre undici in un giorno. E poi le situazioni familiari: spesso i parenti più stretti del defunto si trovano in quarantena, e «facciamo tutto quello che è in nostro potere per accontentare le famiglie». Le parole di don Eligio Ciapparella (San Fruttuoso).
Camera mortuaria ospedale san gerardo
Camera mortuaria ospedale san gerardo Fabrizio Radaelli

«Non siamo ai livelli di marzo, ma certamente in queste settimane il nostro lavoro è raddoppiato rispetto agli anni scorsi». È unanime il giudizio degli operatori delle agenzie di pompe funebri che operano a Monza. Dopo la prima tragica ondata, la relativa calma dei mesi estivi, in queste settimane l’impegno dei professionisti del settore è sicuramente aumentato.

«Ora otto chiamate su dieci riguardano casi Covid – raccontano dall’agenzia Antonio Pirovano di Carera – A marzo si facevano molti meno tamponi e spesso non sapevamo se il defunto fosse morto per coronavirus o meno».
Oggi come otto mesi fa le procedure seguite per comporre la salma sono le stesse, con le medesime indicazioni: nessuna vestizione della salma, nessun contatto del defunto con i parenti. Il corpo viene consegnato in un sacco e composto nella bara che viene subito chiusa.

Oggi, a differenza di marzo e aprile, è possibile (almeno per il momento) celebrare i funerali. E anche questo segna una differenza abissale tra i servizi fatti in primavera e quelli attuali. «Spesso i parenti più stretti del defunto si trovano loro stessi in quarantena – continuano dall’agenzia Antonio Pirovano – E così quando è possibile cerchiamo di aspettare che qualcuno di loro possa partecipare. Facciamo tutto quello che è in nostro potere per accontentare le famiglie e consentire di dare l’ultimo saluto al loro caro. Arriviamo ad aspettare anche dieci giorni se questo ci viene consentito, e se permette alla famiglia di poter esserci al funerale».

A chi è negato anche l’ultimo saluto viene in soccorso la tecnologia. «Ci è capitato di trasmettere via streaming la funzione religiosa, per consentire ai parenti in isolamento a casa di poter almeno vedere le immagini del funerale», spiegano da un’altra impresa della città. «Questo a marzo non si faceva, nessuno era preparato a quello che abbiamo vissuto. Si rincorreva solo l’emergenza sanitaria, tutto il resto finiva in secondo piano, anche l’ultimo saluto ai propri cari».

A rallentare le procedure oggi sono le lungaggini burocratiche e la lentezza nella consegna dei documenti.
«Ci dicono che le carte devono essere messe in una sorta di quarantena per almeno venti ore – raccontano dall’agenzia Fratelli Brioschi – ma questa tempistica non viene quasi mai rispettata, e si aspetta anche quattro o cinque giorni l’invio della documentazione».

Un dato di fatto che ha delle conseguenze dirette su tempi, famiglie, dolore. Anche sulla celebrazione dei funerali: nei giorni scorsi, a metà novembre, ne sono stati celebrati anche 11 in un giorno a fronte di una media di 3-4 al giorno a causa delle lungaggini con cui vengono consegnati i documenti.

«La gente ha paura e non solo gli anziani, ma anche i giovani, le famiglie con i bambini piccoli».
Don Eligio Ciapparella dal 2002 è parroco della chiesa di San Fruttuoso. Conosce le persone che chiama «la mia gente», e mai come in questi mesi ha visto volti smarriti e disorientati.

«Questa seconda ondata del virus ha chiuso in casa tante persone – racconta – vedo molte sedie vuote alle messe come non si vedevano da quando ci hanno permesso di riprendere a celebrare. Eppure nessun luogo come la chiesa è sicuro: sanifichiamo le sedie, misuriamo la temperatura, entra solo chi indossa la mascherina e si igienizza le mani, eppure le persone hanno paura a venire in chiesa. A volte sono gli stessi figli a dissuadere i genitori anziani, dicendo loro di seguire la messa in streaming o in televisione. È necessario trovare un senso a questi giorni, e la paura mette alla prova la nostra fede».

A chi lo ferma confessando timori e dubbi per il futuro, il parroco risponde così: «Non siamo chiamati a sopravvivere ma a vivere. Comprendo questo sentimento di paura e lo rispetto, ma è necessario ricordarci che la paura si supera quando ci mettiamo nelle mani di un Altro che è Signore del tempo e della storia».

Tanti i funerali celebrati in questi mesi. «Sempre più spesso sono le pompe funebri ad avvisarci del decesso di un parrocchiano. Le famiglie preferiscono vivere nel privato anche un passaggio cruciale come la morte. E invece dovrebbero parlare».

Da oltre otto mesi tutte le sere recita la preghiera del rosario. «Perché è bene che la gente sappia che nel dolore e nella paura occorre affidarsi a qualcuno. La vita è una fragilità, e occorre fare tesoro di questi mesi, per non accorgerci, quando tutto sarà finito, che non abbiamo imparato nulla».