Monza, inchiesta protesi ortopediche: patteggiano due chirurghi di Seregno e Paderno Dugnano

Due anni e otto mesi e tre anni e quattro mesi per i chirurghi del Policlinico Marco Valadè, 60 anni, di Seregno, e Fabio Bestetti, 53 anni, di Paderno Dugnano. Il monzese Claudio Manzini andrà a processo a novembre.
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Monza Tribunale Fabrizio Radaelli

Quattro patteggiamenti a Monza al processo per la corruzione sulle protesi Ceraver. Martedì 15 giugno la decisione del gup Patrizia Gallucci che ha stabilito pene a due anni e otto mesi e tre anni e quattro mesi per i chirurghi del Policlinico Marco Valadè, 60 anni, di Seregno, e Fabio Bestetti, 53 anni, di Paderno Dugnano, due anni e otto per Denis Panico, imputato in qualità di responsabile commerciale dell’azienda francese Ceraver, che ha patteggiato una pena pecuniaria. Gli imputati hanno pagato l’equivalente del profitto, e anche Regione Lombardia è stata risarcita da Valadè. Va a processo l’11 novembre prossimo, invece, il chirurgo ortopedico monzese Claudio Manzini, molto noto per la sua competenza nella cura dei traumi al ginocchio, e i manager francesi della Ceraver.

Secondo le accuse, i chirurghi (Bestetti e Valadè in particolare) utilizzavano le protesi della casa produttrice d’oltralpe, in cambio di somme di denaro, o altre utilità. Viaggi, alberghi pagati, cene, o il diritto a percepire una quota di rimborso per le prestazioni sanitarie eseguite in convenzione col sistema sanitario. L’inchiesta nasce dall’esposto di un medico, che segnalava comportamenti scorretti, ed era sfociata nell’arresto di Valadè, Camnasio e Manzini, avvenuto nell’ambito dell’operazione ribattezzata dalla Guardia di Finanza “Disturbo”, come veniva chiamato il compenso per i medici nelle loro conservazioni.

Per Bestetti e Valadè i guai non si esauriscono in questo filone. I due sono accusati di lesioni dolose, nell’ambito di una seconda tranche d’inchiesta condotta dagli inquirenti, in relazione a 91 interventi chirurgici (15 Bestetti e addirittura 76 Valadè) effettuati al Policlinico (estraneo alla vicenda) o in una clinica di Ivrea (Torino), su pazienti provenienti da tutta Italia, da sessant’anni in su. Avrebbero tratto in inganno i pazienti, convincendoli della assoluta necessità dell’intervento chirurgico (l’impianto di protesi al ginocchio o all’anca), quando invece l’operazione era superflua. Accusa, questa, respinta con decisione dai medici, che hanno dichiarato attraverso i loro legali di aver sempre agito “per il bene dei pazienti”.