Monza: «Abbiamo scelto l’adozione, gesto d’amore, di fatica e di soldi»

Monza - La famiglia (foto d’archivio)
Monza – La famiglia (foto d’archivio)

La prima volta che hanno visto i volti dei loro figli è stato in fotografia, dopo aver aperto un plico proveniente dal Tribunale di Lima. Alessandro e Lucia (i nomi sono di fantasia) si sono guardati e hanno sorriso e assieme pianto. Forse, solo forse, il loro lungo iter di adozione era finito.

“In realtà fino all’ultimo qualcosa può succedere- racconta Lucia, imprenditrice monzese- nell’adozione internazionale è il tribunale del Paese estero a sancire l’adozione e, prima di farlo, convoca i bambini da soli, poi i futuri genitori. Non ho mai saputo quello che hanno detto i miei figli, ma, visto che sono qui con noi, immagino qualcosa di positivo”.

Dopo qualche anno di matrimonio senza l’arrivo di un figlio, Alessandro e Lucia hanno deciso di intraprendere il percorso dell’adozione internazionale: “E’ qualcosa a cui avevo sempre pensato – spiega Lucia- perché è un modo che ti fa vedere la maternità in modo diverso. Un figlio anche quando lo hai portato in grembo non è mai un tuo possesso: è figlio del mondo, figlio di Dio, poi figlio della sua libertà. La cosa è ancora più evidente nell’adozione perché non ha i tuoi colori e le tue forme, ne’ ha condiviso con te tutto il tuo vissuto”.

Ci sono voluti sei anni per diventare mamma e papà di due fratelli che sono arrivati a Monza ormai grandi: il maggiore era già in quarta elementare, il più piccolo da iscrivere al primo anno.

“Quando considero i tempi lunghi dell’adozione-prosegue Lucia- penso anche che, in qualche istituto nel mondo, c’è un bambino che aspetta una famiglia. Sono d’accordo che l’iter debba essere serio e rigoroso, trovo giusto che si cerchino strade possibili per riunire i minori alla famiglia di origine, ma certamente vivere i primi anni di vita, quelli della crescita e della formazione, in un istituto, è un’esperienza che ti segna”.

Ecco perché quando parlano della loro esperienza ad altre coppie che stanno intraprendendo lo stesso percorso Alessandro e Lucia sono molto chiari: dicono subito che è un percorso lungo e anche costoso. Bisogna mettere in conto circa 15 mila euro, tra pratiche burocratiche, traduzioni giurate nella lingua del Paese straniero, viaggi e permanenza di almeno due mesi prima di tornare in Italia da genitori. L’iter più lungo è quello prima di partire: c’è la valutazione della coppia da parte degli psicologi che si conclude con una relazione inviata al tribunale , una serie di incontri con gli psicologi del Tribunale, poi l’individuazione di una potenziale agenzia nel Paese straniero e lo studio di un possibile abbinamento.

Una lunga trafila burocratica avviene anche nel paese straniero a cui devono essere mandati i documenti tradotti e asseverati dal Tribunale, E perfino le lettere di amici “importanti” che testimoniano la solidità della coppia.

“E’ un percorso ad ostacoli-commenta Lucia- devi essere pronta ad imbarcarti su un aereo convinta di arrivare a New York e ritrovarti nella savana. Soprattutto bisogna essere consapevoli che essere genitori adottivi significa anche essere pronti ad accogliere e accompagnare un dolore. Perché c’è un trauma di abbandono che può prorompere in modo inatteso e forte”.

E questo nessun incontro in preparazione all’adozione te lo può spiegare. Lo affronti quando ti ci trovi in mezzo.

“Tuttavia è un’esperienza bellissima, spesso divertente e totalizzante. Insieme al figlio- conclude Lucia- adotti il suo Paese di provenienza e, un po’, la sua lingua. Insieme si impara ad essere gli uni genitori, gli altri figli”.