Come riconoscere un’infezione da meningite? Il sito del ministero della salute elenca quali sono le caratteristiche dell’infezione, i suoi sintomi e come viene messo in pratica il protocollo. Ecco la scheda.
La sintomatologia
I sintomi della meningite sono indipendenti dal germe che causa la malattia.
All’inizio i sintomi possono essere aspecifici: sonnolenza, cefalea, inappetenza. In genere, però, dopo 2-3 giorni peggiorano e compaiono nausea e vomito, febbre, pallore, fotosensibilità; tipiche la rigidità della nuca e quella all’estensione della gamba.
Nei neonati alcuni di questi sintomi non sono molto evidenti, mentre può esserci un pianto continuo, irritabilità e sonnolenza al di sopra della norma, e scarso appetito. A volte si nota l’ingrossamento della testa, soprattutto nei punti non ancora saldati completamente (le fontanelle), che può essere palpato facilmente.
Le complicanze
La malattia può avere complicazioni anche gravi, con danni neurologici permanenti, come la perdita dell’udito, della vista, della capacità di comunicare o di apprendere, problemi comportamentali e danni cerebrali, fino alla paralisi.
Tra le complicazioni di natura non neurologica, possibili i danni renali e alle ghiandole surrenali, con conseguenti squilibri ormonali.
La terapia
Il trattamento deve essere tempestivo. La meningite batterica viene trattata con antibiotici; la cura è più efficace se il ceppo agente dell’infezione viene caratterizzato e identificato. Nel caso di meningiti virali, non c’è cura antibiotica, ma la malattia è meno grave e i sintomi si risolvono di solito nel corso di una settimana, senza necessità di alcuna terapia specifica.
Le misure di profilassi
Occorre identificare i contatti stretti da sottoporre a chemioprofilassi o a sorveglianza sanitaria. Quindi, individuare i conviventi e coloro che hanno avuto contatti stretti con l’ammalato nei 10 giorni precedenti la data della diagnosi.I 10 giorni sono il tempo massimo previsto per la sorveglianza sanitaria, tenuto conto del massimo periodo di incubazione della malattia. Qualora al momento dell’identificazione fossero già trascorsi 10 giorni dall’ultimo contatto, i soggetti esposti non sono più considerati a rischio