L’Ucraina e quei figli di Monza che rischiano di andare in guerra

Sono come figli, bambini e ragazzi lontani, che vivono con la famiglia d’origine in Ucraina. Quei figli sono ragazzi che vengono chiamati “bambini di Chernobyl”. E che il disastro nucleare del 1986 li ha portati sino a Monza e gli ha resi anche figli di tante famiglie brianzole. Ora rischiano di essere chiamati nell’esercito.
Una delle  immagini arrivate dall’Ucraina a Monza
Una delle immagini arrivate dall’Ucraina a Monza

Sono come figli, bambini e ragazzi lontani, che vivono con la famiglia d’origine in un paese, l’Ucraina, da sempre ostile alle giovani generazioni che cercano un futuro diverso. Paese che oggi è diventato scenario di scontri, guerra civile e invasione congelando in un attimo anche i piccoli spiragli di una vita diversa, migliore. Quei figli sono ragazzi che sbrigativamente vengono chiamati “bambini di Chernobyl”. In realtà vengono da Chernigov, 200 chilometri a nord di Kiev. Ma quella maledetta centrale ha segnato anche la loro vita. Ed è proprio quel disastro nucleare del 1986 che li ha portati sino a Monza e gli ha resi anche figli di quelle famiglie brianzole che hanno scelto di aprire loro la porta di casa, due volte all’anno per dieci anni, senza mai più richiuderla.

Sono proprio queste famiglie monzesi a vivere oggi ore di ansia per le notizie che arrivano da quel paese lontano. Alcuni di quei “figli”, diciotto anni appena compiuti, hanno telefonato in Italia per dire che è arrivata loro una cartolina: quella chiamata alle armi in un paese che aveva abolito il servizio di leva obbligatoria solo pochi mesi fa e che ora, in fretta e furia, ha inviato per posta ai figli più giovani l’obbligo di presentarsi per essere reclutati. Facile immaginare l’ansia di chi si sente a tutti gli effetti come un genitore per questi ragazzi e che non può fare molto da qui, per cercare di capire. E di aiutare.

Ansia condivisa da tutta l’associazione Ti do una mano e dall’instancabile presidente Lele Duse, che passa le giornate tra telefonate di famiglie preoccupate, mail di ragazzi e bimbi ucraini che scrivono spaventati, temono di non poter più tornare a Monza, e comunicazioni intermittenti con gli amici da Ichnya e Vertivka, dove la onlus ha contribuito alla costruzione di asili e di ospedali, per cercare di regalare quel futuro migliore che fatica comunque ad arrivare e che oggi appare così sospeso. In dieci anni l’associazione ha fatto arrivare in Italia circa mille bambini e compiuto diversi viaggi in Ucraina per portare aiuti. Per dare una mano, insomma.

“La situazione precipita di giorno in giorno – racconta Duse – tanto che il nostro viaggio in programma ad aprile in Ucraina è divenuto impossibile. Per l’ospitalità qui da noi questa estate, invece, abbiamo scelto di avviare le pratiche ugualmente, nella speranza che il futuro non sia così drammatico”. Ad oggi, però, i timori sono davvero tanti. Lo conferma Valentina, referente ucraina per i progetti della onlus monzese, che al telefono racconta la situazione attuale della cittadina di Chernigov, vicina al confine russo. “Qui sono arrivati i carri armati – spiega con voce concitata, in italiano – la gente sta comprando tutto quello che è possibile nei negozi, fa scorta. C’è paura a stare qui”. Le famiglie che mandano i loro figli in Italia vorrebbero farli partire subito, per allontanarli da scenari di guerra. Intanto all’orizzonte sorgono altri dubbi, altre paure. “Se la situazione dovesse precipitare – spiega il presidente Duse – anche l’ambasciata potrebbe chiudere. E allora chi si occuperebbe delle nostre pratiche per i viaggi?”. Domande che oggi non trovano risposta, in attesa di notizie rassicuranti sui quei figli così lontani. E così indifesi.