Lissone e Muggiò, arresti per Donn’Angelin: i titolari non rispondono ai giudici

Scelgono di non rispondere ai giudici marito e moglie accusati di autoriciclaggio e bancarotta fraudolenta nell’ambito del fallimento delle pizzerie Donn’Angelin a Lissone e Muggiò.
Un menù di Donn’Angelin
Un menù di Donn’Angelin

Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere marito e moglie artefici del successo delle pizzerie Donn’Angelin e del brand di moda Albagia, poi arrestati con accuse di bancarotta e autoriciclaggio. Per ora scelgono il silenzio, come riferito da fonti legali dopo l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice.

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Ancora presto per ipotizzare qualche strategia difensiva. Anche gli accertamenti della procura, peraltro, non sono completi. Nell’ordinanza del gip Francesca Bianchetti emergono molte parti coperte da “omissis”, e negli atti figurano anche alcuni professionisti e consulenti aziendali, che sembrano del tutto consapevoli del meccanismo fraudolento contestato dalla Finanza e posto in essere soprattutto dal titolare delle attività di Lissone, Muggiò, Bresso e Cislago.

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Dalle carte emerge anche lo stile di vita lussuoso dei coniugi. Vacanze di famiglia tra Ibiza e Formentera, l’appartamento extralusso in affitto a Milano in piazza della Repubblica (dove hanno eletto domicilio), gli abiti “di marca”, l’opulenza ostentata anche nel nome del brand “Albagia”, definita come boria di chi ha un’opinione molto alta di sé. In molti, tra Monza e provincia, si chiedevano da dove venissero tutti quei soldi. Perché le pizzerie Donn’Angelin – tradizione partenopea e prezzi modici – andavano a gonfie vele. Ma il salto immediato a certi livelli del “fashion business” della coppia, imprenditori di 40 e 36 anni, è parso davvero sproporzionato. Il “trucco” lo hanno scoperto gli investigatori della guardia di finanza di Monza, che la scorsa settima hanno eseguito quattro ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Francesca Bianchetti su richiesta del pm Rosario Ferracane, con accuse di associazione a delinquere, frode fiscale, autoriciclaggio, ed effettuato sequestri per un milione e 200mila euro. Due gli indagati in carcere – marito e moglie – e due quelli residenti in Campania ai domiciliari, la madre della donna e un altro prestanome.

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La fortuna dei due parte dai ristoranti della catena Donn’Angelin, che da Lissone presto si espande con altri tre locali a Muggiò, e poi a Bresso e ancora a Cislago, nel varesotto. Sale sempre piene, clienti in fila per un tavolo e prezzi davvero vantaggiosi, nel boom di questi anni della pizza col “cornicione” alla napoletana in Lombardia. Il lato oscuro, secondo quanto ricostruito dalle Fiamme Gialle del comando provinciale di Monza, stava nella tenuta fiscale e contabile del ristorante.