La senatrice desiana Lucrezia Ricchiuti lascia il Partito democratico

Lucrezia Ricchiuti se ne va dal Partito democratico. La senatrice desiana ha comunicato la decisione di lasciare il Pd di Matteo Renzi con una lettera in cui motiva la scelta (tra i temi il Jobs act, i referendum, la Buona scuola).
Lucrezia Ricchiuti
Lucrezia Ricchiuti Paola Farina

Lucrezia Ricchiuti se ne va dal Partito democratico. La senatrice desiana ha comunicato la decisione di lasciare il Pd di Matteo Renzi con una lettera: tra le motivazioni il comportamento dopo la mobilitazione per il referendum sulle trivelle, il jobs act che “non ha creato nuovi posti di lavoro, ma un’impennata di licenziamenti come nel caso K-Flex di Roncello”, la legge elettorale e la riforma costituzionale, le lentezze sul contrasto a mafia e corruzione, la Buona scuola che “si è schiantata sulla realtà”.


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Un nuovo addio nei giorni in cui si è ufficializzata la “scissione” guidata da Pierluigi Bersani e Roberto Speranza. Ecco la lettera

“Egregio direttore,
esco dal PD. Mi consenta di spiegare brevemente perché. Nell’aprile 2016, si svolse un referendum sulle trivelle, chiesto – prima volta nella storia della Repubblica – dalle Regioni, anche quelle governate dal centro-sinistra. L’allora Presidente del consiglio invitò all’astensione. Votarono 15 milioni di italiani, ponendo un serio quesito sulle politiche del Governo sull’energia. Ma invece il renziano Ernesto Carbone si rivolse a quegli elettori con quel tristemente noto ciaone.

Nel 2015 era stata la volta del Jobs Act. Quella legge non ha creato nuovi posti di lavoro (la fiammata provvisoria fu data dalla decontribuzione delle nuove assunzioni, finita la quale si è afflosciato tutto). Invece ha prodotto l’impennata dei licenziamenti disciplinari e dei voucher. Sola nel PD – con Mineo e Casson – avevo votato contro, ma inutilmente. Nelle imprese non si cerca più una mediazione, il profitto è considerata l’unica priorità. Casi come K-Flex di Roncello e Marcegaglia che licenzia le tre sindacaliste, sono lì a testimoniarlo. Il Governo Renzi ha addirittura ignorato i pareri delle Commissioni lavoro di Camera e Senato che avevano chiesto di non applicare quelle norme ai licenziamenti collettivi. Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, nelle intenzioni del legislatore, doveva essere l’unico contratto in circolazione. Oggi scopriamo che sopravvivono quasi tutte le vecchie forme contrattuali, compreso il “lavoro agile”, ossia un lavoro a cottimo domiciliare: ulteriore strumento di flessibilità che permette di “utilizzare” i lavoratori come e quando servono.

Malgrado le iniziali buone intenzioni, anche la Buona Scuola si è schiantata contro la dura realtà dei fatti: siamo riusciti nel difficile obiettivo di unire una massiccia opposizione di insegnanti, sindacati e studenti – coloro che una volta avremmo definito il “nostro popolo” – arrabbiati per una riforma che aveva il giusto compito di regolarizzare migliaia di docenti, ma che in definitiva – in ragione della sua pessima attuazione – ha creato una gigantesca tornata di trasferimenti che ha fatto precipitare nella confusione l’inizio dell’anno scolastico, con ritardi, girandola di insegnanti e classi scoperte fino a dicembre.

Potrei continuare, signor direttore, con la legge elettorale e la riforma costituzionale. Era illegittima l’una e sbagliata l’altra. Ho avuto ragione su entrambe: la riforma è stata spazzata via dagli elettori, l’Italicum stroncato dalla Corte costituzionale. E poi ancora le scelte sul contante, le lentezze sul contrasto di mafie e corruzione e sullo ius soli.

Oggi parte una nuova avventura, fatta di passione politica genuina, di contenuti veri, di problemi delle persone: lavoro, scuola, legalità, innovazione, contrasto della diseguaglianza. Mi dicono che siamo una minoranza. Non credo: il PD ha già perso il suo popolo. Lo recupereremo noi.
Lucrezia Ricchiuti”