La Direzione antimafia: «Gli affari Covid della criminalità organizzata in Lombardia»

Presentata al Parlamento la relazione della attività Dia del primo semestre 2020. Il procuratore aggiunto Alessandra Dolci: «Da indagini è emerso che la criminalità ha approfittato dei finanziamenti previsti dai decreti “Rilancio” e “Liquidità”»
Dia Direzione investigativa antimafia immagini generiche da video istituzionale su sito Dia
Dia Direzione investigativa antimafia immagini generiche da video istituzionale su sito Dia

In lombardia l’interesse della criminalità organizzata, in primo luogo della ’ndrangheta, nell’anno del Covid 19, il 2020, è stato inevitabilmente indirizzato a possibili nuovi business legati alla pandemia. Quindi ai settori della sanificazione, della produzione di dispositivi di protezione, dello smaltimento di rifiuti ospedalieri, ma anche ai servizi funerari. Grandi affari anche dall’usura grazie ai prestiti, sempre più consistenti e numerosi, a imprenditori, in particolare della ristorazione e dell’alberghiero, i più strozzati dalla crisi. E’ quanto emerge, tra l’altro, dalla relazione semestrale relativa al primo semestre del 2020 che la Direzione distrettuale antimafia ha presentato al Parlamento.

Non solo, il procuratore aggiunto della Dda di Milano, Alessandra Dolci, ha anche evidenziato che la stessa criminalità, come manifestato da indagini, abbia anche approfittato dei “sostegni Covid” del governo chiedendo: «i finanziamenti previsti dai decreti “Rilancio” e “Liquidità”». «Si è assistito – ha spiegato Dolci – all’acquisizione di tali aiuti in modo indebito, attraverso la presentazione, spesso curata da professionisti vicini all’organizzazione, di dati contabili e fiscali predisposti ad arte». Un iter, dice ancora il magistrato: «facilitato dalla circostanza che, proprio per garantire una veloce elargizione dei sussidi, le relative richieste si sostanziassero con autocertificazioni, sottoponibili a successivi controlli, che, dato l’elevato numero di domande, non potranno che essere inevitabilmente parziali». Non solo: «Quello che si è notato – ha aggiunto – è stata la presentazione di plurime richieste, per importi limitati, da parte di diversi soggetti giuridici, che, all’esito delle indagini sono risultate riconducibili, tramite prestanome, a un unico titolare effettivo: erogato il sussidio, lo stesso è stato sovente destinato a usi impropri e diversi da quelli legati all’attività produttiva…».

L’emergenza sanitaria in atto e il perdurare della crisi economica conseguente, tra l’altro, potrebbero determinare, si legge ancora nella relazione: «Condizioni favorevoli al subentro nelle compravendite di esercizi commerciali, costretti a una lunga chiusura, della liquidità mafiosa». La situazione economica attuale potrebbe inoltre acuire: «la tendenziale ritrosia anche dell’imprenditoria lombarda nel denunciare condotte di usura. (…) L’aggravarsi dello stato di bisogno, la paura di subire ritorsioni e la particolare condizione psicologica di sudditanza nei confronti dell’usuraio – riporta la relazione Dia – potrebbero ancor più dissuadere dal rivolgersi alla magistratura o alle Forze dell’ordine».