Il filosofo Rèmi Brague ospite dell’istituto “Don Gnocchi” di Carate Brianza

Mercoledì 22 settembre sarà ospite dell’istituto “Don Gnocchi” di Carate Brianza il filosofo Rèmi Brague.
Rèmi Brague
Rèmi Brague

Nella mattinata di mercoledì 22 settembre 2021, l’Istituto scolastico Don Carlo Gnocchi, di Carate, ospiterà uno dei maggiori, dei più lucidi e coraggiosi pensatori viventi: Rémi Brague. Il filosofo francese, di passaggio a Milano per un incontro pubblico, incontrerà in mattinata gli studenti del triennio dei Licei. Parteciperanno all’incontro in video-collegamento anche gli studenti degli Istituti: Collegio della Guastalla (Monza), Fondazione Sacro Cuore (Milano), Fondazione Grossman (Milano), Pascal (Busto Arsizio), Liceo Malpighi (Bologna) e Istituto Leopardi (Lecco). Non è la prima volta che Brague incontra le classi del don Gnocchi: nel 2008 il filosofo francese venne in visita agli studenti, lasciando un ricordo indelebile nei docenti e giovani che avevano partecipato all’incontro.

Così Luca Montecchi, rettore del “Don Carlo Gnocchi”.

Perché l’attenzione verso questo pensatore? C’è attesa da parte degli studenti?

«Brague è frequentemente intervenuto, negli ultimi anni, nel dibattito pubblico prendendo posizione su temi centrali della vita e della cultura europea come quelli del ruolo della religione, dell’identità cristiana del nostro Continente e sulle contraddizioni del nostro caratteristico umanesimo, sul valore dell’educazione, sulle recenti pulsioni censorie e distruttive nei riguardi del nostro patrimonio e della nostra tradizione culturale. In virtù di tale forza di giudizio, abbiamo in lui riconosciuto il volto e la voce del maestro, che crede in quello che dice e lo pratica dinanzi al mondo, uno dei pochi maestri viventi che sa e desidera parlare ai più giovani».

La riflessione nel lontano 2008 verteva sulla crisi dell’Occidente. Su quale tema questa volta si concentreranno le domande rivolte al Premio Ratzinger?

«Da allora, il clima mentale dettato dal mainstream non è mutato, l’allontanamento dai fondamenti razionali, sociali, morali procede identico: soltanto, sempre più scoperto, sempre più apertamente avverso ai capisaldi del pensiero e progressivamente accelerato nella direzione del rifiuto della memoria e della tradizione, della irrilevanza della libertà religiosa – ossia della coscienza –, dell’individualismo anti-comunitario, dei diritti soggettivi esasperati, del controllo sociale, della disponibilità della vita umana, della dissacrazione e mercificazione dei corpi. Negli ultimi anni, e con energia sempre maggiore, Brague è più volte intervenuto su organi di stampa nazionale ed estera: anche in Italia sono state frequenti e importanti le interviste rilasciate e gli articoli pubblicati. Ogni volta ha dichiarato la sua forte preoccupazione per un’Europa e un Occidente che hanno perduto la coscienza della continuità o, meglio, della permanenza delle origini ebraico-cristiane da cui sono sorti. Al contempo, egli non manca di far sentire la sua voce per ridestare, soprattutto nei giovani, quella memoria smarrita e indicare la via da perseguire per una generale rinascita europea».

Il filosofo Rèmi Brague ospite dell’istituto “Don Gnocchi” di Carate Brianza
Luca Montecchi, rettore del “Don Gnocchi”

Brague è firmatario, assieme a numerosi intellettuali francesi, di un recente appello contro la “folle” (così da lui definita) decisione dell’Università di Princeton (U.S.A.) di volere tagliare il greco e il latino dalle facoltà. Che cosa dire a uno studente che ha il capo tuttora chino su queste materie?

«Alle classi di adolescenti e giovani è vitale far conoscere le radici linguistiche, e perciò di pensiero, di mentalità, di categorie di giudizio, di forme di vita, d’istituzioni, di documenti e testi letterarii (e opere d’arte) che ereditiamo dai Greci, dai Romani e dal Medioevo latino: hanno bisogno come dell’acqua viva di abbeverarsi a tutta questa fontana di bellezza, che gustata li disseta e li alimenta. Il negargliela e il rinnegarla, da parte di politici, intellettuali ed “esperti”, vuol dire, in pratica, assenza di coscienza e di responsabilità educativa, e concorrere a un futuro di disumanità – che è il contrario di quella humanitas pazientemente ricercata ed elaborata da Cicerone, da Boezio, da Dante, Petrarca e gli umanisti, da Shakespeare, Manzoni, Eliot, cioè la vita larga e piena che si è espressa nell’edificio della grande cultura europea, capace di celebrare la persona umana nel creato – non solo in quello che chiamiamo “ambiente”: impersonale, anonimo, asettico. E con l’educazione dell’umano, humanitas, che è insieme paideia, cioè cura del piccolo, del ragazzo, dentro la polis, urge riaffermare il ruolo del cristianesimo, decisivo per il costituirsi della civiltà medievale e moderna, e non soltanto occidentale: pensiamo all’Africa o all’Armenia! Esso ha raccolto e vivificato i significati e i simboli della classicità greco-romana, rivalutato e assorbito gli apporti germanici, slavi e arabi, al punto che senza l’esplicito riferimento a Cristo non si può comprendere quasi l’intero scibile prodotto nei due millenni di storia europea fino a noi, scienza moderna compresa. Del resto, l’humanitas così intesa è l’antidoto e il vaccino contro la tentazione oltreumana del positivismo e del culto della scienza, così come del transumanismo nichilistico di oggi, il cui esito, ha ragione Brague, è letteralmente “folle”».

Il tema educativo è fortemente presente nel vostro piano formativo. La corrente che va per la maggiore tra i giovani è il “religioso” rispetto della posizione propria e altrui in virtù di ciò che risulta “politicamente corretto”, linguaggio al quale si stanno sempre più conformando anche i manuali scolastici. Quale ritiene essere il punto fermo per una studentessa o uno studente prossimi alla maturità, e quindi vicino al traguardo che lo porterà verso la sua professione?

«Al contrario del quadro appena descritto e in cui siamo immersi, l’esperienza che i ragazzi fanno a lezione e in ogni attività didattica è quella della scoperta e della meraviglia, che, rammenta Aristotele con Platone, sono l’inizio del filosofare o, detto altrimenti, la mossa e il lavoro dell’intelligenza critica. È l’evidenza che la cognizione del passato che ci si consegna illumina il presente di luce più chiara, fa vedere gli strati della realtà di là dalla mera apparenza, spesso opaca e confusa. I nostri ragazzi e quelli di tante scuole, specie paritarie, questa esperienza la fanno. Vogliamo rinunciare a educare le nuove generazioni, cioè a introdurle a capire, abitare, edificare il mondo? Vogliamo ridurci a pianificarne i ruoli e le funzioni per “efficientare” la macchina socio-economica? Vogliamo davvero togliere loro il gusto della scoperta e della ricerca del bello, del vero, del senso delle cose e della vita? Della voglia di creatività, d’imprimere nel mondo una traccia, un segno, di essere in prima persona costruttori della civiltà? Se il progetto “negazionistico” è questo, allora è giocoforza imporre un pensiero unico dominante, imposto da chi appunto ha l’interesse, soprattutto economico-finanziario, di sottrarre ai giovani la coscienza del lascito, del munus ricevuto dai padri, e la speranza certa di una strada percorribile. Fare oggi una scuola, così liceale come tecnico-professionale, significa continuare a communicare, a mettere in comune il senso della realtà, credere nelle virtualità, nelle virtù, nelle possibilità di seguitare e incrementare la tradizione di sempre, la consegna responsabile del bene ricevuto dai padri ai discepoli che incontriamo: una consegna umile, sempre, e però autorevole e certa, a chi s’inoltra nella vita adulta, da persona libera, intelligente e critica».