Il Consiglio di Stato boccia la fusione tra A2A e Aeb

La sezione quinta del Consiglio di Stato di Roma ha respinto i ricorsi presentati dal Comune di Seregno, da Aeb e da A2A, che miravano ad ottenere la riforma delle sentenze con cui il Tar della Regione Lombardia aveva annullato la delibera del consiglio comunale di Seregno, con cui era stato dato mandato al sindaco Alberto Rossi di votare nell’assemblea dei soci di Aeb l’aggregazione con A2A.
Seregno - La sede di Aeb in via Palestro
Seregno – La sede di Aeb in via Palestro Paolo Colzani

Se non è un terremoto politico, poco ci manca. La sezione quinta del Consiglio di Stato di Roma, presieduta da Carlo Saltelli, con Giovanni Grasso in veste di estensore, ha respinto i ricorsi presentati dal Comune di Seregno, da Aeb e da A2A, che miravano ad ottenere la riforma delle sentenze con cui il Tar della Regione Lombardia, lo scorso 15 febbraio, aveva annullato la delibera del consiglio comunale di Seregno, con cui era stato dato mandato al sindaco Alberto Rossi di votare nell’assemblea dei soci di Aeb l’aggregazione con A2A, accogliendo in quel caso le istanze inoltrate da Tiziano Mariani, capogruppo di Noi per Seregno, compagine che siede tra le minoranze nell’assise, e di alcune ditte.

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Mariani di suo aveva lamentato di non aver ricevuto una sufficiente documentazione sull’aggregazione, per esercitare le sue prerogative di consigliere, mentre le aziende avevano contestato la mancata indizione di una gara per l’individuazione del socio. Riguardo alla posizione di Mariani, il Consiglio di Stato ha evidenziato tra l’altro che «non è, in premessa, revocabile in dubbio che la conseguenza della violazione delle regole preordinate alla corretta formazione della volontà dell’organo consiliare sia l’illegittimità, per vizio derivato, della delibera medesima. Del resto, opinare diversamente significherebbe dequotare la, pur rigorosa, casistica della lesione dello jus ad officium a mera ragione di irregolarità, laddove, per definizione, non è possibile valorizzare, in subiecta materia, il canone antiformalistico di cui all’articolo 21 octies l. n. 241/1990, che può operare solo quando sia possibile, sulla base dei presupposti di fatto e del quadro normativo di riferimento, dimostrare la concreta irrilevanza aprioristica del vizio (meramente) formale».

Riguardo il contendere con le ditte, Palazzo Spada ha sottolineato che «le operazioni straordinarie che, a vario titolo ed in varia forma, coinvolgano società pubbliche, sono di per sé neutre: di tal che, sull’assunto che il principio proconcorrenziale opera, di suo, nella prospettiva funzionale dell’effetto utile e che il correlativo apparato precettivo va considerato di natura materiale e non formale, l’assoggettamento al regime interamente privatistico (ex art. 1, comma 3 del Testo Unico) o l’intersezione segmentale con la disciplina pubblicistica evidenziale dipende, in concreto, dall’accertamento degli effetti sostanziali perseguiti e divisati. Effetti che, nella specie, realizzando una diluizione della partecipazione pubblica totalitaria in favore di una partnership istituzionale con un soggetto privato, sono, in definitiva, tali da sollecitare l’obbligo di attivare una strumentale procedura selettiva tra i potenziali operatori economici dei settori interessati». Lapidaria è stata pertanto la conclusione: «Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa».