I lavoratori del concessionario della Villa reale di Monza in Regione: «Si possono salvare»

Audizione dei lavoratori di Cultura domani in Regione: sono i dipendenti del concessionario della Villa reale che rischiano il lavoro, ma per i sindacati c’è una strada per salvare il loro posto.
L’audizione il videoconferenza
L’audizione il videoconferenza

Audizione regionale per i dipendenti di Cultura domani, i dipendenti della società che gestiva la parte espositiva della Villa reale di Monza, che rischiano il licenziamento dopo tanti mesi di cassa integrazione Covid e dopo lo strappo definitivo tra concessionario della Reggia e Consorzio pubblico.

I lavoratori sono stati ascoltati nel pomeriggio di giovedì 14 gennaio in quarta commissione (Attività produttive, istruzione, formazione e occupazione), alla vigilia del giorno in cui la società Nuova Villa reale spa ha annunciato di restituire le chiavi della Reggia all’ente consortile. Sul tavolo, soprattutto, la possibilità di ricorrere alla cassa integrazione Covid per altre dodici settimane, un periodo ponte che potrebbe permettere di trovare soluzioni adatte alla continuità occupazionale dei dipendenti che negli ultimi sei anni hanno accolto i visitatori della Villa.

«Ci aspettiamo che nelle prossime ore l’azienda attivi gli ammortizzatori sociali Covid e che durante queste dodici settimane si costruisca una soluzione per riaprire la Villa reale, restituendo così il proprio lavoro ai dipendenti di Cultura domani e l’accesso al bene pubblico a tutti i cittadini» dice Matteo Moretti, segretario generale della Filcams Cgil Monza e Brianza, a margine della riunione in videoconferenza. Per il sindacato la soluzione c’è: «Noi reputiamo che i lavoratori siano funzionali alla riapertura del bene pubblico – spiega Moretti –. Oggi abbiamo avuto risposte in merito alla percorribilità e all’assoluta coerenza degli ammortizzatori Covid con la situazione attuale dei lavoratori».

Difficilmente, ha avvisato il sindaco Dario Allevi, presidente del Consorzio, potrà essere la loro integrazione diretta alle dipendenze del Consorzio Villa reale – che per le assunzioni deve passare da bandi, concorsi e deve fare i conti con i tetti pubblici di dipendenti. Ma per il sindacato, con la clausola sociale, è possibile trovare la strada di un affidamento privato che almeno temporaneamente tuteli i dipendenti che in questi anni sono stati protagonisti, «apprezzati» sottolinea il sindacato, della Villa reale negli spazi in concessione.

Nell’audizione sono state messe sul tavolo le possibilità normative: altre dodici settimane di cassa Covid che possono essere attuate dal privato, confermate da Carlo Bianchessi di PoliS, l’istituto regionale per il supporto alle politiche della Lombardia che si occupa di lavoro e che si è messo a disposizione tecnicamente per mettere in pratica gli ammortizzatori sociali disponbili.

«I lavoratori della Villa reale di Monza non devono subire le conseguenze di una gestione che è sbagliata fin dalla sua originaria concezione – è l’opinione di Marco Fumagalli, consigliere regionale del M5S Lombardia – Si richiede buon senso alla proprietà nel continuare a garantire la continuità aziendale in modo da far avere la cassa Covid fino a quando il consorzio non potrà riaprire i “battenti” della Villa». Fumagalli suggerisce al consorzio di valutare di poter impiegare i lavoratori «tramite affidamenti con appalti in convenzione per le cooperative sociali di tipo B. Gli strumenti a tutela dei lavoratori ci sono che vengano applicati da ambo le parti senza ripicche o strategie giudiziarie di sorta».

Secondo il consigliere regionale della Lega Andrea Monti, è necessaria una «soluzione ponte, sospendendo ogni decisione unilaterale e utilizzando le settimane di ammortizzatori sociali che restano, come previsto dalla cassa Covid», ma in questo caso più che una strategia sembrano buoni propositi. «È in gioco la sopravvivenza dei lavoratori» ha aggiunto Monti in un comunicato nel quale sostiene che «al di là dei torti e delle ragioni voglio capire il motivo del contenzioso che ha portato davanti a un giudice», ma sembra un po’ fuori tempo massimo: il braccio di ferro dura da anni.