Gioco illegale, spaccio di shaboo e estorsione: in otto a processo a Monza

Si tratta di cittadini cinesi di età compresa tra 24 e 50 anni, residenti tra Monza, Sesto San Giovanni, Torino e Milano. La vicenda nasce da una presunta estorsione commessa ai danni di un altro cittadino cinese residente a Monza.
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Monza Tribunale Fabrizio Radaelli

Sfruttavano la passione dei loro connazionali per il gioco, organizzandosi in una banda con interessi economici all’estero, che gestiva un ricco giro di scommesse on line e gioco del lotto clandestino. Sono otto gli imputati finiti lunedì a giudizio davanti al tribunale collegiale presieduto dal giudice Maria Letizia Brambilla. Tutti cittadini cinesi di età compresa tra 24 e 50 anni, residenti tra Monza, Sesto San Giovanni, Torino e Milano, sotto accusa per reati di estorsione, cessione di stupefacenti (in particolare di shaboo), violazione della legge sul gioco d’azzardo.

I fatti contestati fanno riferimento a un periodo compreso tra gli anni 2015 e 2017. La vicenda nasce da una presunta estorsione commessa ai danni di un altro cittadino cinese residente a Monza, all’epoca del fatto imprenditore di una società via Boccioni, nel distretto industriale “cinese” della città, risalente al 2015.

Alla vittima veniva chiesta con insistenza la restituzione di un presunto debito da diecimila euro che lui riteneva inesistente (anche se il sospetto degli inquirenti è che l’uomo si fosse indebitato con il gioco). L’imprenditore si era comunque rivolto ai carabinieri di Monza, che da quel fatto apparentemente limitato, avevano allargato il raggio delle indagini a uno scenario ben più articolato, fatto di scommesse e gioco on line al di fuori dei canali legali. Di personaggi della comunità cinese accolti in camere di albergo con prostitute e dosi di shaboo, la potentissima metanfetamina molto diffusa tra gli orientali. Di soldi riciclati in paradisi fiscali o stati africani sotto regimi di dittatura. Inchiesta che, all’epoca della fase preliminare, non era sfociata in arresti solo per oggettive difficoltà investigative dovute alla nota impenetrabilità di certi meccanismi e ambienti oscuri della comunità cinese, e per la difficoltà di eseguire rogatorie in stati remoti e non democratici.

Secondo le accuse, il gruppo raccoglieva le scommesse attraverso il sistema di messaggistica Wechat (una sorta di “whatsapp cinese”). Su una piattaforma comune (cosiddetta “dietro le quinte”), governata da un server basato in un appartamento di Torino, venivano gestiti “vari gruppi di scommesse on line”, venivano effettuate “le puntate dei singoli giocatori” su combinazioni di numeri “estratte a sorte da un sistema automatico detto robot”, venivano contabilizzate vincite e perdite. Anche il denaro, ovviamente, transitava avvalendosi di strumenti telematici.