F1 a Monza, i personaggi del Gran Premio: la passione di Moko per la Ferrari

Moko non è un personaggio del Corsaro Nero di Emilio Salgari. Moko, almeno nel mondo della Formula 1, è un personaggio che sa di leggenda. E che segue da sempre la Formula 1.
Moko a Monza
Moko a Monza

Moko non è un personaggio del Corsaro Nero di Emilio Salgari. Moko, almeno nel mondo della Formula 1, è un personaggio che sa di leggenda. E la letteratura su di lui è misteriosa ed esotica esattamente come quella della penna di Mompracem. Di certo c’è che è impossibile non notarlo. Sarà la stazza, il colore nero dell’ebano, le treccine in testa. E, più ancora, l’abbigliamento senza termini di paragone: pantaloni larghi, ciabatte, lunghe magliette dalle fantasie e i colori sgargianti, una dozzina di anelli alle dita e almeno il doppio di braccialetti alle braccia. Per lui, i piloti si fermano anche mentre sono intenti a fuggire dai fan che li inseguono per una foto o un autografo. Per lui si narra che anche Bernie Ecclestone arrivò a coniare il primo platinum pass per il paddock.

È amico delle rockstar americane, si sussurra che si occupi di gioielli, ma tanti punti di domanda rischiano di portare fuori strada. Moko non è un millantatore eccentrico. La sua inflessione calma è figlia di pensieri ponderati. Come se dovesse sforzarsi a cercare concetti non banali. «Seguo la Formula 1 dal 1979», l’anno di Jody Scheckter iridato in Ferrari. «Io vivo negli Stati Uniti, ma sono nato in Senegal. Scheckter era sudafricano, il primo del Continente Nero a vincere il Mondiale. Ma era un bianco». Moko segue tutte le gare del Campionato di Formula 1, sa di cosa parla. «Ogni due settimane prendo l’aereo e vado a seguire le gare. Magari capita l’annata in cui ne salto un paio. Ma la Formula 1 non potrà essere uno sport planetario finché non tornerà in Africa». Proprio in Sudafrica si corse fino a inizio anni Novanta, «nel 1958 si corse anche in Marocco. Ma io spero di rivedere presto la Formula 1 nel mio continente». Il legame con il passato, per Moko, è qualcosa da cui non si può prescindere. «In tanti mi chiedono per che pilota tifi. La mia risposta è semplice: i piloti passano, i team restano. E io sono ferrarista». Il perché è presto detto. «Enzo Ferrari non era un gran pilota, non era un grande ingegnere. Era un visionario. E ha cambiato per sempre questo mondo. È stato il più grande di sempre».

Monza è intrisa della storia Ferrari e per Moko, una volta di più, non si può prescindere dalla tradizione. «Questo è un tempio mitico: la Parabolica, i tifosi, l’atmosfera, la passione per la Ferrari. È un ambiente che non si ritrova in alcuna altra parte del mondo. Qui c’è gioia per il Cavallino, che si perda o che si vinca». E c’è poco da preoccuparsi se il confronto con altre piste moderne faccia capire quanto l’impianto brianzolo abbia bisogno di una svecchiata infrastrutturale. «Monza non è vecchia, è storica. Come Spa, come il Nurburgring. Altrove ci sono tracciati più moderni e tecnologici, disegnati dalla tecnologia. E dove si corre con la tecnologia. Qui a Monza conta il piede, nient’altro. Dentro e fuori la pista, qui c’è il cuore».