Ex comandante dei carabinieri a processo per omessa denuncia di reato: «Non aveva abbastanza uomini»

L’ex comandante dei carabinieri di Seregno a processo per non avere trasmesso denunce alla procura: per il legale della difesa per le indagini di infinito non aveva abbastanza uomini per seguire tutto.
L’ingresso del tribunale di Monza
L’ingresso del tribunale di Monza Fabrizio Radaelli

Rischia una condanna a due mesi di reclusione l’ex comandante della caserma dei carabinieri di Seregno, Giacomo Di Bello, classe 1955. A tanto, infatti, ammonta la richiesta formulata dal vice procuratore del tribunale di Monza, Paola Suglia. Il militare, ora in pensione, sta rispondendo davanti al giudice del tribunale di Monza, Giovanni Gerosa, di omessa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale (articoli 361 del codice penale).

In sostanza, sempre secondo la ricostruzione della Pubblica Accusa, non avrebbe inviato all’autorità giudiziaria competente per territorio alcune denunce formalizzate in caserma dalla cittadinanza. Notizie di reato non trasmesse durante l’ultimo periodo del suo servizio. In realtà la faccenda è più articolata di quanto apparentemente sembrerebbe. In occasione dell’ultima udienza, che si è svolta lunedì mattina, sono emersi dati che potrebbero offrire una luce diversa a tutta la storia. Pare, infatti, che dietro le mancate trasmissioni delle denunce formulate dai cittadini non ci fossero cattive intenzioni, pressapochismo o superficialità, quanto l’impossibilità di adempiere a un compito che a un certo punto sarebbe diventato improbo per il numero ridotto di risorse umane a disposizione dell’ufficio.

Difficoltà che avrebbero costretto il militare a scegliere delle priorità, alimentando le questioni principali, lasciando da parte vicende secondarie. Lo ha spiegato in aula il suo difensore, l’avvocato Maurizio Bono del Foro di Monza: «C’è un fatto storico molto importante in tutta questa vicenda – ha spiegato il legale che assiste l’ex comandante della caserma dei carabinieri di Seregno – e cioè la grossa indagine Infinito che di fatto per parecchio tempo aveva tolto numerosi militari alla caserma, riducendo gli effettivi da 16 operanti e meno di 10. Dal punto di vista del carico di lavoro, la situazione era diventata molto pesante. La giustificazione fornita dall’imputato – ha aggiunto Bono – era che si trovava in un momento di grossa difficoltà di organico, con conseguente sovraccarico del lavoro, per cui era stato costretto a sottovalutare alcune situazioni rispetto ad altre. In questo senso la grossa operazione Infinito è stata determinante. A nulla peraltro erano servite anche le segnalazioni fatte ai propri superiori. Aveva segnalato che era oberato di lavoro e che non poteva ottemperare al meglio al proprio lavoro». Si sta procedendo con rito abbreviato: alcune posizioni, peraltro, sarebbero anche in odore di prescrizione. L’avvocato Bono ha chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto.