Due genitori raccontano: «Nostra figlia 15enne e l’eroina: abbiamo vissuto l’inferno»

LEGGI Gli arresti - Tre anni di inferno chiusi nelle scorse settimane con tre arresti. Parlano i genitori della ragazza vittima del fidanzato spacciatore finito in carcere dopo che l’hanno denunciato: «L’abbiamo fatto d’impulso e per rabbia, la polizia ci è stata molto vicina».
Monza Stazione Fs piazza Castello: uno dei luoghi dove la ragazza si riforniva di droga
Monza Stazione Fs piazza Castello: uno dei luoghi dove la ragazza si riforniva di droga Fabrizio Radaelli

Tre anni che non avresti mai voluto vivere raccontati in due ore di dialogo fitto fitto. Due genitori che non hanno paura di contare con le dita le volte che sono finiti al pronto soccorso: «Con nostra figlia adolescente sotto l’effetto della droga presa per i capelli» o a cercarla tra gli sbandati alla stazione di Monza, nei boschi di Rogoredo o in quelli delle Groane. Un pugno nello stomaco quanto hanno vissuto una mamma e un papà di una ragazza oggi quasi 18enne che, «d’impulso e per rabbia», hanno deciso di denunciare il fidanzato spacciatore dal quale la figlia dipendeva ormai totalmente. Un amore esclusivo di quelli che solo una 15enne (l’età che aveva quando è iniziato tutto), può vivere.


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«Senza di lui non riusciva a stare, era un tira e molla continuo», poi ci si è messa la droga. L’eroina. Lui l’ha avviata su quella strada e per questo, nelle scorse settimane, dopo un anno e mezzo di indagini condotte dalla Squadra investigativa della polizia, è finito in carcere con i due fornitori (tutti e tre residenti tra Carnate e Villasanta). Avrebbero piazzato le dosi, 0,3 grammi a 10 euro, soprattutto in stazione, a Monza, a un giro di almeno 24 clienti, molti minorenni. Tra loro anche la studentessa 15enne.

«Una bella ragazza, molto spigliata – dice con orgoglio la mamma – dal carattere forte, brava a scuola e sportiva». In casa, con i genitori, in una famiglia normalissima, medio borghese, ha un rapporto da adolescente un po’ ribelle: «Le discussioni non mancavano». Poi all’improvviso è cambiato qualcosa.

A marzo del 2016 ha cominciato a frequentare quel ragazzo più grande, a Monza: «Noi abbiamo cercato di dissuaderla ma reagiva nervosamente, non voleva sentire ragioni». Quando si sono accorti che si drogava? «Mah, mangiava meno del solito, in modo svogliato. Ma a far scattare la molla è stata la carta stagnola. Gliela abbiamo trovata nello zaino della scuola, in una cartelletta. Ha detto che le occorreva per un’attività scolastica».

Ma mamma e papà non le hanno creduto e pensato il peggio: «Che spacciasse, magari hashish». Poi invece hanno scoperto che con quella stagnola ci fumava l’eroina: «Mai avremmo immaginato che quella droga fosse tornata» dice il papà.

Arriva l’estate e la situazione precipita: «Voleva uscire presto, già alle otto, sempre con quel ragazzo. I vecchi amici? Abbandonati». L’abuso di droga non dà segni particolari, fino a settembre: «quando è tornata a casa con le pupille piccolissime, agitata, faceva fatica a parlare come fosse ubriaca ma al tempo stesso parlava di continuo, di cose senza senso» ricordano i genitori, che la portano al pronto soccorso. Lei accetta.

Là emerge la verità. I sospetti si chiamano eroina. Lei dice che è stata la prima volta ma le analisi non mentono, da Niguarda parlano di “accumulo”. I genitori non se l’aspettano, ma immediatamente scatta una segnalazione al Tribunale dei minorenni e alle forze dell’ordine e l’affido ai servizi sociali e al Tribunale, quindi entrano in scena l’Uonpia (Unità operativa Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) e il Sert. “La rete” la chiamano mamma e papà, ormai entrati nel “vortice”.

Da quel momento tengono la figlia sotto un controllo asfissiante, la accompagnano a scuola, cercano di non lasciarla mai sola. Fino all’udienza con il giudice che le dà 4 mesi di “prova”. Scampa la comunità ma la situazione precipita. «Abusava di droga sempre più spesso. Le chiedevamo dove prendesse i soldi per comprarla, ci ha detto che “scollettava”, chiedeva l’elemosina».

Papà la segue anche attraverso una app del telefonino per sapere dove fosse e poterla andare a prendere prima che si rifornisse. «Se n’è accorta praticamente subito e ogni volta che andava a acquistare la roba spegneva il telefono per non farsi trovare». Ma a fermarla un giorno, alla stazione, è stata la Polizia ferroviaria. «Gli agenti mi hanno chiamato per andare a recuperarla e mi hanno messo in guardia dal suo ragazzo, invitandomi a rivolgermi al commissariato».

Detto fatto: «A settembre abbiamo presentato la denuncia a persone d’oro che ci hanno ascoltato e seguito passo passo».

A febbraio 2017 la ragazza dice al giudice di voler andare in comunità. Ne viene individuata una educativa femminile. «Il primo mese va bene, lei si comporta correttamente e riottiene così il telefonino». Riallacciare i rapporti con il fidanzato è un attimo. E scattano le fughe e le denunce alle forze dell’ordine.
«Scavalcava la recinzione, andava in autostop alla stazione saltava su un treno e andava direttamente dal fidanzato dove trascorreva anche tre/quattro giorni senza passare neppure da noi, a casa».

Dopo tre segnalazioni, a settembre viene esclusa dal piano di lavoro della comunità. Sospesa: «in attesa di essere trasferita in un’altra struttura». E nel frattempo che fa? Scappa, sempre più spesso. Il padre la va a recuperare persino nel bosco inferno di Rogoredo dove ha “scollettato” per comprare la roba, 5 euro a dose. Oppure, ancora, alla stazione di Monza: «In fondo all’ultimo binario, in una casetta con le finestre murate, un tugurio, sono andato là con un altro papà che cercava la figlia – dice il padre – Subito sono usciti numerosi ragazzi, italiani e stranieri, alcuni con i cani. Mi hanno detto di averla vista, sì: “Vai pure a casa che ti facciamo chiamare noi da tua figlia” mi hanno detto».

I genitori confidano che la ragazza possa andare in un’altra comunità, terapeutica. Poi sfuma tutto. Passa altro tempo finché non si apre un’opportunità in una struttura per tossicodipendenti. Basta una fuga perché sia di nuovo “fuori”. Arrivano i primi mesi di quest’anno. Nel frattempo ha subito altri ricoveri e trattamenti in psichiatria infantile, al San Gerardo: «Dove abbiamo trovato personale medico e infermieristico dalla grandissima umanità» dicono.
Da allora è a casa con la madre che per stare con lei non lavora più, il giudice le dà un altro mese e mezzo di prova con la prospettiva, alla mal parata, della comunità.

«Da un mese e mezzo non ha più toccato droga, si alza di buon’ora al mattino e fa un piccolo lavoretto. Speriamo che a settembre possa tornare a scuola» dicono mamma e papà che uniti hanno affrontato una situazione più grande di loro anche grazie al sostegno di una psicoterapeuta familiare.