Covid a Monza e Brianza: i medici di base si attrezzano con i tamponi rapidi

Distribuzione dei tamponi rapidi acquistati dalla Fimmg ai medici di base di Monza e Brianza: saranno usati per verificare il proprio stato di salute e quello dei pazienti con sospetto coronavirus.
La distribuzione dei test rapidi Covid ai medici
La distribuzione dei test rapidi Covid ai medici Fabrizio Radaelli

Arrivano in auto, qualcuno in moto, per ritirare una decina di kit di tamponi rapidi messi a disposizione dalla Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg), il sindacato che ne raccoglie più della metà. I medici di medicina generale di Monza e delle Brianza si presentano tra le 14 e le 16.30, martedì 20 ottobre, nel parcheggio degli uffici dell’Ats, alle spalle della chiesa del Carmelo, in via Boito a Monza.

A gestire il traffico e il distanziamento ci sono i volontari del soccorso dell’Ordine di Malta, tra di loro Silvana Tarlasco, medico e psicoterapeuta in pensione, specializzata nel supporto psicologico dell’emergenza . «Oggi faccio il vigile – scherza – ma siamo ripartiti con il nostro progetto di supporto psicologico per affrontare questa seconda ondata. Forse in questo momento è ancora più difficile far ei conti con la situazione perché ogni medico ha il ricordo del proprio vissuto». A distribuire i kit di tamponi rapidi, in grado di offrire un responso in meno di 30 minuti, c’è il presidente dell’ordine dei medici di Monza e Brianza Carlo Maria Teruzzi, che spunta dalla lista chi ha ricevuto il materiale e chi lo ha ritirato per altri colleghi. Alla fine del pomeriggio più della metà dei kit a disposizione sono stati distribuiti.

Al banchetto della federazione che ha promosso l’iniziativa ci sono Davide Bonanno, 41 anni medico a Triante e Domenico Picone, 33enne e corsista per diventare medico di famiglia con incarico a Biassono.

«Il sindacato – spiegano – ha deciso di offrire una decina di kit ai propri iscritti. Li potremo utilizzare per noi stessi, soprattutto se sappiamo di essere entrati in contatto con pazienti risultati poi positivi, per i nostri famigliari, naturalmente per gli stessi pazienti che riceviamo in ambulatorio nei casi dubbi». E aggiunge: «Purtroppo mentre i medici e il personale ospedaliero è previsto uno screening ogni due settimane, noi siamo stati dimenticati, anche se siamo in prima linea nell’emergenza».

«Ho vissuto in prima linea la fase 1 – racconta Davide Bonanno – ero a Busnago al confine con la bergamasca, nell’area più colpita. All’inizio ci siamo arrabattati, oggi non siamo in braghe di tela, potevamo diventare noi stessi superconduttori. Purtroppo ancora oggi non è prevista per noi la possibilità di eseguire il tampone se non nei casi di sintomatologia riconducibile al Covid».

Tra i medici che arrivano per ritirare i propri dieci tamponi rapidi che hanno un’affidabilità dell’88% per sensibilità e del 91% in specificità, c’è anche chi si ferma per incontrare qualche collega e scambiarsi opinioni su questa seconda ondata, sulle difficoltà di gestire un lavoro in cui la burocrazia ha un peso sempre più preponderante.

«Riceviamo solo su appuntamento in ambulatorio – spiega Picone – con tutte le precauzioni del caso, ma facciamo anche molte consultazioni per telefono e, per i pazienti più tecnologici, anche attraverso una piattaforma di videochiamata».

«Abbiamo raddoppiato le ore di ambulatorio – prosegue – perché in molti casi dobbiamo vedere il paziente, soprattutto i cronici che in questa fase di pandemia sono stati i più trascurati».

C’è chi, davanti a questa seconda ondata, non nasconde la propria paura: «Ho perso quattro persone care tra parenti e amici e due colleghi- ricorda Daniele Arosio, 65 anni, vicepresidente dell’Ordine, studio nel quartiere Cazzaniga – A dicembre vorrei andare in pensione, ma non posso lasciare il quartiere scoperto in questa situazione. L’iniziativa di distribuzione di test rapidi è lodevole, ci consente di lavorare con un po’ più di serenità. Anche ieri ho assistito al tampone di un paziente che è poi risultato positivo, fra un paio di giorni mi farò anche io un tampone. Avere un risultato in fretta consente di guadagnare tempo ed evitare ulteriori contagi».

Altri medici, come Enrica Arienti con studio in via De Gradi, raccontano le difficoltà di gestire la burocrazia: «Ci sentiamo con i colleghi in una chat che riunisce i medici iscritti alla Fimmg – dice – Alla sera mi trovo a leggere anche cento messaggi. La burocrazia ci sta uccidendo, noi segnaliamo i nostri casi all’Ats, ma vediamo che da qualche settimana ci sono ritardi nelle chiamate per effettuare i tamponi. Ora per un caso segnalato con sintomi ci vogliono due o tre giorni, per i suoi contatti stretti possono passare anche cinque giorni. Qualcuno non è mai stato chiamato per il tampone e dopo la quarantena è libero di rientrare al lavoro o a scuola».

Per districarsi tra piattaforme e burocrazia Marco Grendele di Muggiò ha preparato un “bigino” a disposizione dei colleghi: «Fino al 25 settembre – conclude – ho dovuto inserire nel sistema una sola segnalazione. Poi la situazione è esplosa».