Coronavirus, Mantovani (Humanitas): «La seconda dose del vaccino va fatta nei tempi giusti»

La seconda dose del vaccino va fatta «nei tempi giusti». Ovvero a una ventina di giorni di distanza dalla prima. Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano, boccia l’idea di procedere solo con la prima somministrazione e di rinviare la seconda a quando ci sarà più disponibilità del vaccino.
Il professor Alberto Mantovani
Il professor Alberto Mantovani

«Non ho ancora fatto il richiamo, la prenotazione è per il primo febbraio». Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e professore emerito all’Humanitas University, ha ricevuto la prima dose del vaccino anti-Covid il 10 gennaio scorso. In un’intervista al quotidiano la Repubblica si dice sconcertato dai ritardi che rischiano di innescare una battaglia legale tra i governi europei e il colosso farmaceutico Pfizer. «Se la consegna delle dosi dovesse slittare di alcuni giorni non ci sarebbe di che preoccuparsi», rassicura il professore. «Certo, se però si lasciassero passare mesi tra prima e seconda iniezione allora sì, ci sarebbe un problema serio. In questa vicenda dobbiamo sempre fare scelte guidate dai dati».

E cosa ci dicono i dati in proposito, professor Mantovani? «Che i vaccini bastati sul mRNA, come quelli Pfizer-Biontech o Moderna, sono stati progettati per essere somministrati in due dosi a distanza di circa venti giorni. La risposta primaria del nostro sistema immunitario è debole, ma viene rafforzata dal richiamo». Eppure nel Regno Unito si è scelto di fare subito una sola dose in modo da raggiungere il maggior numero di persone. «È un azzardo dettato da una situazione drammatica. Non parlo per sentito dire ma perché ne ho una percezione diretta: mio figlio e mio nipotino vivono a Londra. Chi non ha persone care in Inghilterra non può immaginare cosa stia accadendo».

E se anche da noi ci fosse la tentazione di seguire la ricetta inglese di una sola dose? «Sarebbe un grave errore. Ripeto: dobbiamo rispettare i dati, ma anche le competenze degli scienziati e la loro responsabilità sociale. Se saltano questi concetti si rischia di dare alla popolazione una copertura vaccinale che non dura abbastanza. Ma anche di favorire l’emergere di nuove varianti del Coronavirus ancora più aggressive».