Coronavirus, i numeri della Brianza e il nuovo vaccino: «È stata colpita di più perché meno immune»

Il virologo Francesco Broccolo, docente all’università Milano Bicocca parla a tutto campo del nuovo coronavirus, dei numeri della Brianza e del nuovo vaccino prodotto dall’azienda farmaceutica Pfizer-Biontech.
Il virologo Francesco Broccolo
Il virologo Francesco Broccolo

Francesco Broccolo, virologo, docente di Microbiologia Clinica all’università Milano Bicocca, parla a tutto campo del nuovo coronavirus, dei numeri della Brianza e del nuovo vaccino prodotto dall’azienda farmaceutica Pfizer-Biontech.

Perché in questa seconda ondata Monza, Varese, Como, Milano sono le aree più colpite?
Sono le zone meno colpite dalla prima ondata e quindi meno immuni. E poi c’è da tener conto il fenomeno del pendolarismo: gli spostamenti verso la Svizzera di Como e Varese e quelli tra Milano e Monza.


È stato annunciato l’arrivo del vaccino. Qual è la giusta posizione che va mantenuta da parte di noi tutti?

Un cauto ottimismo, in quanto i primi dati di Fase 3 analizzati da un Comitato indipendente (ma non ancora pubblicati) sembrano indicare un’efficacia di oltre il 90% nella protezione contro Sars-CoV2. Un dato sopra le aspettative, auspicavamo circa il 60-70% di efficacia, un valore simile al vaccino anti-influenzale, ma restano ancora diversi aspetti di valutare come la durata della protezione.

Quanto tempo necessita secondo lei affinché si possa parlare di un vaccino sicuro?
Il Comitato indipendente, si è espresso anche sulla sicurezza: gli effetti collaterali sono il dolore nel punto dell’iniezione, stanchezza e febbre, più frequenti tra i più giovani. Ci vorrà almeno un anno di osservazione delle due dosi e quindi bisognerà attendere almeno dicembre 2021 per avere informazioni adeguate sulla sicurezza.

Quanto tempo il virus starà ancora con noi?
Nella migliore delle ipotesi fino a fine 2021. La sua persistenza è bizzarra perché non è semplicemente un virus che dà infezioni acute, come il virus dell’influenza che dopo venti giorni scompare e non pare dare delle infezioni persistenti, ma di fatto abbiamo visto che può persistere per mesi in modo asintomatico e non sappiamo se questa persistenza possa determinare nel tempo delle sequele come un danno agli organi o patologie autoimmuni.

Qual è il suo giudizio su come l’Italia ha affrontato e continua ad affrontare questa grave emergenza?
L’Italia ha fatto un grande sforzo organizzativo della sanità pubblica nei primi sei mesi di quest’anno. Ha organizzato il sistema di rilevamento dell’infezione al pari o meglio di altri Stati europei. Ha organizzato un lockdown molto serio per tre mesi. I risultati si sono visti. Ha poi aperto troppo in fretta con manifestazioni non di buon senso: grandi assembramenti nei posti di vacanza, apertura di discoteche e di qualche evento sportivo, apertura di palestre e piscine. Sarebbe stato meglio consentire solo attività all’aperto in solitario oppure in gruppi non superiori a 3-5 persone. Infine la ripresa del lavoro e della scuola con l’uso obbligato di mezzi pubblici soprattutto nei grandi centri ha portato alla situazione di oggi.

Quali sono le sfide future per la comunità scientifica per arrivare a prevenire le prossime pandemie?
Le pandemie sono inevitabili con l’aumentare dei viaggi, degli scambi di merci, del trasporto a lunga distanza di persone. Per le infezioni sono più importanti i contatti con paesi molto lontani che possono avere agenti infettivi diversi dai nostri. Sotto il profilo della ricerca medica è importante tracciare l’immunità verso questo coronavirus e i virus simili a questo. Non solo: è anche molto importante organizzare una collezione di sieri della nostra popolazione. Con questa collezione potremo monitorare gli anticorpi contro il coronavirus attuale, ma anche potremo valutare la il grado di resistenza immune ad eventuali virus che possono essere causa di nuove epidemie o pandemie. Probabilmente questi virus deriveranno ancora una volta da animali di zone geografiche molto lontane da noi.

Cosa occorre?
Per una ricerca di questo tipo occorrono laboratori di virologia attrezzati per lavorare con agenti infettivi pericolosi, in particolare virus. Quello che ho a disposizione attualmente è un laboratorio per diagnostica medica che non può avere le autorizzazioni per un lavoro di questo genere. Sarebbe rischioso per il personale che è già molto impegnato nelle attività di routine. Le università dovrebbero capire che le malattie infettive non sono sconfitte, che se ne produrranno sempre di nuove per l’urbanizzazione e la globalizzazione. E dovrebbero promuovere studi di questo tipo e sostenere i propri ricercatori.
Oggi, ciascuno dovrebbe tracciare l’immunità al coronavirus nel proprio territorio e nella propria popolazione, poi si potrebbero riunire i dati e avere una mappa dell’immunità a questo coronavirus ad altri virus nella nostra casa comune europea. Questo tipo di studi va iniziato subito: sarà assolutamente necessario per valutare l’efficacia dei vaccini e valutare la scomparsa o il possibile ritorno della pandemia. Mi auguro che il Covid-19 possa averci insegnato anche questo.