Commercio, il dibattito sulle chiusure domenicali dei negozi: Monza, la Brianza e il “caso Carate”

Avviato il dibattito sulle proposte di legge per fare dietrofront rispetto alla liberalizzazione dell’apertura domenicale dei negozi. Le reazioni a Monza e in Brianza: prevale un sì per la domenica libera. E poi c’è Carate Brianza: «Noi lo facciamo già».
Negozi chiusi - foto d’archivio
Negozi chiusi – foto d’archivio Gianatti

Avviato il dibattito sulle proposte di legge per fare dietrofront rispetto alla liberalizzazione stabilita dal governo Monti: attraverso un meccanismo di turnazione, solo il 25% dei negozi resterà aperto di domenica e durante le festività. Chiuderanno, invece, gli altri.


LEGGI Commercio, verso un nuovo anno orribile a Monza: «L’emorragia di negozi ora è un fenomeno serio»

La limitazione degli orari è uno dei progetti del governo giallo-verde. Punto di partenza della discussione la chiusura domenicale dei negozi, salvo che per otto giorni festivi all’anno (di cui quattro nel mese di dicembre): a stabilire il piano delle aperture straordinarie saranno gli enti locali. Il confronto è iniziato giovedì 6 settembre in commissione Attività produttive della Camera: sono cinque i diversi disegni di legge (di maggioranza e di opposizione, di iniziativa popolare e regionale) su cui discutere. Il vicepremier Di Maio ha annunciato il voto entro dicembre.

A Monza. E mentre la politica discute e la maggioranza di governo propone una stretta, i commercianti di Monza hanno le idee ben chiare. Dal centro agli altri quartieri, la voce è (quasi) una sola: il riposo domenicale è sacrosanto.

Un sondaggio da via Carlo Alberto a via Cavallotti, da via Marsala a via Bellani. Tra titolari di negozi di abbigliamento, mercerie o frutta e verdura. «L’iniziativa è senz’altro positiva. Adesso, a tenere aperto la domenica siamo quasi costretti» oppure «Chi ha intenzione di spendere, il modo lo trova: che sia domenica o che non lo sia» hanno dichiarato al Cittadino Angelo Lecchi, Claudio Rossi, Alberto Bendin e Giovannina Vezzoli.

Una voce fuori dal coro da via Bellani: «Se c’è da lavorare, si lavora anche la domenica. Un po’ di disciplina, di regolamentazione va bene: ma in un momento di crisi come questo, meglio rimboccarsi le maniche e lavorare senza discutere troppo, per portare a casa un po’ di soldi in più», ha detto Bruno Cherchi.

Su una possibile regolarizzazione degli orari di apertura e chiusura Confesercenti si era schierata a livello nazionale già nel 2012: «Purtroppo, però – ha commentato la delegata per Monza Gabriela Ada Rosafio – non se ne è fatto più nulla della nostra campagna “Libera la domenica”. Solo una regolamentazione del commercio, può salvare il commercio stesso, altrimenti i grossi centri commerciali, aperti anche in pausa pranzo, non possono che soffocare i nostri associati».

Dello stesso parere anche Domenico Riga, presidente dell’Unione commercianti di Monza e del circondario: «Sarebbe il caso di arginare la liberalizzazione degli orari di apertura e di chiusura che penalizza i piccoli e i dipendenti. Con una regolarizzazione ponderata e sensata – ha concluso- si possono riequilibrare gli sforzi dei negozi di vicinato, ora sottoposti a carichi troppo pesanti».

«Da assessore – ha commentato Massimiliano Longo, che ha la delega al Commercio – non posso che sostenere qualsiasi ogni iniziativa possa produrre lavoro e indotto: a patto che non si esageri e chi si agisca con buon senso. Personalmente, però, non posso che ritenere che un giorno di festa debba effettivamente esserlo per tutti».

In Brianza. Il tema interpella tutta la Brianza, che non è esente dai grandi agglomerati commerciali che radunano aziende multinazionali e griffe, e d’altra parte che registra ormai da anni le difficoltà del commercio di vicinato (soprattutto quello dei piccoli Comuni) a raffronto con i colossi dello shopping.

Al centro delle argomentazioni correlate alla proposta di Governo ci sono soprattutto questioni di carattere politico e sociale (“Restituire la domenica ai padri e alle madri che lavorano, e che così sarebbero più liberi di godersi il riposo con i propri figli”), ma anche economico considerando le bordate che i colossi della grande distribuzione hanno dato al commercio tradizionale. Il risvolto della medaglia mostra però che, con un passo indietro sulla liberalizzazione, le perdite economiche registrate a livello aziendale si ripercuoterebbero su dipendenti e assunzioni.

Altra grande tessera da inserire nel complesso puzzle che compone il tessuto economico del commercio è poi l’enfant prodige del settore: l’e-commerce, che permette al consumatore disponibilità h24 e 7 su 7 e consegne a domicilio. Ecco perché il Codacons, l’associazione dei consumatori, batte i pugni con vigore e si dice “pronta a dichiarare guerra legale contro il Governo se saranno vietate le aperture domenicali dei negozi”.

Intanto la delegazione di Seregno della Confcommercio sta per proporre un questionario per capire l’orientamento degli esercenti sulle aperture domenicali, con la finalità di raccogliere informazioni da veicolare poi a Milano, nell’ottica di un costruttivo contributo al dibattito.

«L’intenzione è questa – conferma il presidente Dario Nobili, che guida anche la rete d’impresa ViviSeregno, al lavoro per coadiuvare la stessa Confcommercio e l’amministrazione comunale nella salvaguardia della vocazione commerciale del territorio, anche e soprattutto in un frangente di crisi prolungata come l’attuale – Le posizioni sono al momento variegate. Tra i titolari o i gestori dei negozi di vicinato, la prevalenza è per una chiusura domenicale, in modo da avere più tempo da dedicare alle famiglie. Viceversa, chi è legato alle grandi catene, propende per proseguire a lavorare. Credo che le opinioni di tutti siano egualmente rispettabili. Il mio parere, che non è il parere dei commercianti di Seregno ma deriva unicamente dall’esperienza personale di una vita spesa per la causa del commercio, prima della pensione, è che possa essere utile tornare allo schema che era seguito una decina di anni fa e che, tutto sommato, penso che abbia prodotto buoni risultati: la possibilità di aprire una domenica al mese, che consentiva anche ai piccoli esercenti, quelli che ovviamente risentono più di tutti della concorrenza dei grandi centri commerciali, di studiare calendari ad hoc, utili a scongiurare sovrapposizioni deleterie e in grado di assicurare introiti a chi alza la saracinesca in un giorno che dovrebbe essere di festa. Ritengo a prescindere che si debbano evitare steccati preconcetti, come il no assoluto sempre e comunque oppure il sì ad aperture anche ventiquattro ore su ventiquattro».


I commercianti di Carate Brianza non sono invece preoccupati perché «noi già non le facciamo. O meglio ne facciamo 3 o 4 all’anno, sempre in concomitanza con eventi che possano essere attrattivi – spiega Maura Isimbaldi, presidente dell’Associazione commercianti caratese – È così ormai da diversi anni, già prima del Governo Monti che ha liberalizzato le aperture».

Negli anni precedenti al “Governo tecnico”, quando pian piano è aumentato il numero delle domeniche e dei festivi in cui i negozi potevano aprire serranda, «come associazione abbiamo sempre valutato di scegliere poche domeniche di apertura perché i nostri sono tutti negozi di vicinato a conduzione familiare: è impossibile tenerli aperti tutte le domeniche. Inoltre, la domenica nel centro della nostra cittadina non registra una così alta affluenza di persone. Ecco spiegato il motivo per cui tutte le nostre aperture festive sono affiancate dalla proposta di eventi che possano essere di richiamo sicuro. Altrimenti, anche ad aprire, non avremmo appetibilità».

È sicuramente interessante notare come il medesimo provvedimento possa avere un impatto opposto ma in un certo senso complementare sulla grande distribuzione e sul commercio di vicinato (quest’ultimo, comunque mai succube dell’idea che la vita, ovvero l’intera settimana, giri esclusivamente attorno al guadagno). Se per centri commerciali e outlet, dove lo shopping domenicale sembra essere diventato il giorno dei grandi volumi di affari, l’indirizzo del Governo è difficile da digerire, per i piccoli l’indirizzo potrebbe leggermente stemperare la concorrenza dei colossi, che negli ultimi anni ha in tanti casi azzerato la presenza di vetrine nei piccoli paesi. «Non sarebbe male se qualche scelta andasse a favore non dei grandi centri commerciali, ma dei negozi di vicinato» osserva Luca Caslini, vicepresidente dei commercianti caratesi.