Ciclismo, in Sicilia scatta il Giro d’Italia. Gianni Bugno lo racconta in tv alla Rai

Gianfranco Josti, storica firma del Corriere della Sera per le due ruote a pedali, intervista il monzese due volte iridato per presentare la Corsa Rosa. Il vincitore dell’edizione del ’90 presenta le tre settimane di gara e l’incognita rappresentata dall'emergenza coronavirus
Gianni Bugno, due volte iridato e vincitore, tra le altre, dell’edizione da record del Giro d’Italia 1990: in rosa dal primo all’ultimo giorno
Gianni Bugno, due volte iridato e vincitore, tra le altre, dell’edizione da record del Giro d’Italia 1990: in rosa dal primo all’ultimo giorno

Gianfranco Josti, milanese, classe 1941, mezzo secolo di carriera al Corriere della sera, ha scritto principalmente di ciclismo, seguendo tutte le più grandi manifestazioni nazionali e internazionali. Per presentare il Giro d’Italia in partenza dalla Sicilia intervista Gianni Bugno, nato a Brugg (Svizzera) il 14 febbraio 1964. È stato campione del mondo su strada nel 1991 e nel 1992. In carriera 71 vittorie, tra cui il Giro d’Italia 1990, una Milano-Sanremo e un Giro delle Fiandre. È presidente della Cycling Pro Association.

Ciclismo, in Sicilia scatta il Giro d’Italia. Gianni Bugno lo racconta in tv alla Rai
Gianfranco Josti

L’anagrafe certifica che Gianni Bugno è nato a Brugg, in Svizzera, 56 anni fa. Ma per gli appassionati di ciclismo e per migliaia di suoi tifosi il nome di Gianni Bugno è accostato immediatamente a Monza. Perché qui si è trasferito quando aveva appena tre anni; qui ha cominciato a pedalare vestendo la gloriosa maglia del Pedale Monzese; qui vive tutt’ora; qui è amato e stimato da tutti i concittadini per i suoi modi garbati, la sua riservatezza, perché si ritiene “uno qualunque”, anche se figura tra i grandi del pedale.
Non si possono dimenticare i successi conquistati da Bugno nell’arco di una lunga carriera, cominciata nel 1985 e conclusa nel 1998. Le sue gemme più preziose: il Giro d’Italia ’90 (maglia rosa dal primo all’ultimo giorno, impresa riuscita solo a Girardengo, Binda e Merckx) due campionati del mondo (Stoccarda ’91, Benidorm ’92), Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre, Clasica San Sebastian, due campionati italiani, due podi al Tour de France. Dovesse scegliere la vittoria che le ha dato le maggiori soddisfazioni? «Nessuna scelta» è la risposta secca. Lui conserva il ricordo delle sue vittorie, ma non maglie, coppe, medaglie o trofei che in genere ogni uomo di sport ama collezionare. Le ha regalate agli amici più stretti per «salvaguardarli da uno come sono fatto io».
Quando pedalava, soprattutto in salita, guardava il cielo e sognava di poterci andare. Ha realizzato il suo sogno giovanile, ha preso il brevetto da elicotterista. Ha al suo attivo migliaia di ore di volo, ha trasportato operatori della Rai che riprendevano il Giro d’Italia, ingegneri dell’Eni che dovevano raggiungere piattaforme petrolifere, ammalati o vittime di incidenti al servizio del 118. Un malore provocato da stress lo ha costretto a prendersi un po’ di riposo, ma non certo a starsene tranquillo seduto in poltrona. Infatti eccolo protagonista dell’ennesima sfida della sua vita: il suo volto e la sua voce invaderanno le case degli italiani perché commenterà per la Rai il Giro d’Italia che scatta oggi in Sicilia con la crono Monreale-Palermo.



Che Giro sarà?

«Una corsa che deve confrontarsi con il coronavirus che ha sconvolto il mondo – risponde Bugno, che in campo ciclistico ricopre un ruolo di primissimo piano essendo il presidente del CPA, il sindacato dei corridori professionisti – e che quindi deve rispettare tutti i protocolli previsti. Non è facile ma il nostro sport ha dimostrato di saper affrontare il problema, la bolla in cui sono stati i confinati i protagonisti del Tour de France ha fatto sì che si siano verificati solo quattro casi, senza che venisse coinvolto alcun corridore».

Per contro il virus pare accanirsi con il calcio.

«È indispensabile rispettare i protocolli. Sono andato ad Imola per assistere ai Mondiali ma non ho potuto far visita alla squadra azzurra. È importante aver ripreso l’attività anche con un calendario sconvolto, con sovrapposizioni e concomitanze. Certo ci confrontiamo con un ciclismo diverso dal solito».

Un ciclismo che si è votato alla tecnologia.

«Sì, adesso i corridori hanno lo sguardo fisso sul minicomputer che hanno installato sul manubrio, guardano i watts che sprigionano e in base a quel che vedono aumentano o diminuiscono il ritmo, alcuni si fidano più degli strumenti che delle sensazioni, ma non tutti sono così».

Guardare questo ciclismo in tv non è molto emozionante: mancano le emozioni che ci regalavano gli scatti di Pantani, tanto per fare un esempio.

«Nell’ultima cronometro del Tour, Pogacar è stato esaltante, un corridore come Alaphilippe sa sempre inventarsi qualcosa, il numero che ha fatto ad Imola nel Mondiale è davvero notevole, ma anche al Tour ha vestito i panni del protagonista. Giusto che sia lui ad indossare la maglia iridata».

Il CPA, l’Associazione ciclisti, si è fatta carico di una campagna nei confronti del pubblico per un comportamento più corretto nei confronti dei corridori durante le gare. State ottenendo risultati concreti?

«Direi di sì, c’è sempre più consapevolezza, da parte dei tifosi che accorrono sulle strade, che è indispensabile usare la mascherina e rispettare le regole che il diffondersi di questa pandemia ha imposto».

Un’ultima annotazione per quanto riguarda il ciclismo italiano: siamo davvero messi male?

«Sul piano organizzativo no, basti pensare ai Mondiali di Imola. C’è Nibali che tiene alta la nostra quotazione, c’è Ganna che in pista e a cronometro ha dimostrato di essere di valore assoluto. Purtroppo non c’è rappresentativa italiana nel Worldteams, la fascia d’élite del ciclismo e non abbiamo un campione carismatico che catturi il pubblico e l’interesse di sponsor decisi ad intervenire nel ciclismo. Stiamo attraversando un momento difficile, reso ancor più difficile dal coronavirus. Bisogna stringere i denti e andare avanti».
Già, in fondo, la filosofia del ciclismo è proprio questa: continuare a pedalare (anche se si soffre) altrimenti non solo non si va vanti, si cade.