Brugherio: per la Corte d’Appello i Paparo non sono mafiosi ma “imprenditori spregiudicati”

La Corte d’Appello di Milano ha annullato la sentenza che condannava Marcello Paparo di Brugherio e altri cinque per associazione a delinquere di stampo mafioso. La condanna ora è per minacce, porto d’armi e lesioni.
L’aula del tribunale di Monza nel 2013 durante il processo
L’aula del tribunale di Monza nel 2013 durante il processo Radaelli Fabrizio

Non più mafiosi, “espressione delle potenti cosche della ’ndrangheta di Isola Capo Rizzuto”. I Paparo di Burgherio tornano ad essere solamente “imprenditori spregiudicati”. La Corte d’Appello di Milano, infatti, ha annullato la sentenza che condannava Marcello Paparo e altri 5 imputati (tra cui il fratello Romualdo e la figlia Luana) a pene fino a 12 anni e 7 mesi per associazione a delinquere di stampo mafioso, riportando in vigore la sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Monza, che aveva pronunciato sì verdetti di condanna (non per la giovane Luana, che era stata assolta) ma solo per altri reati, quali le minacce, il porto d’armi, e le lesioni.

Questo l’epilogo (salvo ulteriore ricorso in Cassazione) di una vicenda giudiziaria controversa, passata attraverso 4 gradi di giudizio. Dalla sentenza monzese del 2012, fino al processo di Appello bis concluso l’altro giorno. Nel mezzo, la prima sentenza di Appello, che aveva riconosciuto l’accusa di mafia (contestata sin dai tempi dell’operazione Isola del 2009), e la Cassazione, che aveva annullato con rinvio quest’ultima pronuncia.

L’altro giorno, l’imprenditore Marcello Paparo, 48 anni, difeso dall’avvocato Amedeo Rizza, ha avuto un ulteriore sconto di pena di due mesi, poiché è stato assolto da un’altra contestazione di minacce. La condanna “monzese” a sei anni, dunque, è scesa a 5 anni e 10 mesi. Pena già interamente scontata in questi anni di tormentata vicenda giudiziaria. Oggi Marcello Paparo vive a Brugherio, a piede libero, dove si era trasferito da Cologno Monzese dopo aver subito un agguato a colpi di arma da fuoco. Attualmente risulta ancora sottoposto alle prescrizioni del tribunale di sorveglianza. L’uomo, indicato dall’accusa come un “boss”, ha sempre respinto questo addebito, difendendosi in aula.

Aveva detto di essere stato costretto a versare denaro sia agli Arena che ai Nicoscia, potenti famiglie ‘ndranghetiste di Isola Capo Rizzuto (Crotone), e di non rappresentare una loro “propaggine” con base tra Cologno e Brugherio, come invece gli contestava la Direzione distrettuale antimafia. Le accuse sostenevano che i Paparo si erano infiltrati, come una vera e propria “mafia imprenditrice”, nei lavori della Tav e dell’ampliamento dell’autostrada A4 (settore movimento terra), oltre che nella logistica per le aziende della grande distribuzione. Questo sfruttando “la forza intimidatrice del nome”. Accuse che, tuttavia, no hanno trovato sufficienti riscontri in dibattimento.