Bernardì Roig in mostra a Monza con “The man who sold the head”

“The man who sold the head” è il titolo della mostra di Bernardì Roig ospitata dalla galleria Maurizio Caldirola arte contemporanea di Monza. Quattro teste che partono dal lavori di Franz Xavier Messerschmidt.
Bernardì Roig alla galleria  Maurizio Caldirola arte contemporanea di Monza
Bernardì Roig alla galleria Maurizio Caldirola arte contemporanea di Monza Fabrizio Radaelli

Quando nel 1970 David Bowie pubblica “The man who sold the world” tace. Tace sul significato della canzone in cui un uomo allucinato incontra un’allucinazione fatta uomo che altri non è se non “quello che ha venduto il mondo”. “Chi lo sa? Non io” dice l’inizio del ritornello che parte da un incontro sulle scale con uno che dovrebbe essere morto ani fa? Cosa significa? Chi lo sa. Bowie anni dopo avrebbe raccontato che si trattava dello «stato d’animo che si prova quando si è giovani, quando ci si rende conto che c’è una parte di noi che non siamo ancora riusciti a mettere insieme, c’è questa grande ricerca, un gran bisogno di comprendere realmente chi siamo». Ma erano gli anni in cui doveva fare i conti con il fratellastro schizofrenico Terry Burns, che sarebbe poi morto suicida. Lui sì, un uomo che si sarebbe potuto pensare morto anni prima, nel suo distacco dal mondo, il mondo che avrebbe potuto, nella testa, vendere per fare un affare con la follia. Parte da qui il racconto di Bernardì Roig, nato a Palma di Maiorca nel 1965, che dal 18 febbraio porta alla gallleria Maurizio Caldirola arte contemporanea “The man who sold the head”, l’uomo che vendette la testa.

I due percorsi di allucinazione hanno un punto di incontro e una premessa molto più lontana. Intanto lui, Roig, uno dei più importanti scultori spagnoli che presto sarà ospite dei musei di stato di Buenos Aires e Madrid e intanto arriva a Monza con una personale negli spazi di via Volta 26, dopo una breve apparizione con la stessa galleria ad Arte Fiera a Bologna, la più importante vetrina del mercato dell’arte contemporanea in Italia.

Per Monza Roig ha realizzato quattro busti in fusione di alluminio – una novità per l’artista spagnolo – pensati per la mostra e prodotti dalla galleria stessa. Lavora sul volto e sulle sue espressioni Roig, per raccontare attraverso quelle contrazioni dei muscoli il disagio. «Il soggetto non è davanti agli occhi di chi guarda, che può vederne solo la conseguenza, il reale soggetto è nascosto all’interno della scultura, chiuso nella testa» scrive Maurizio Caldirola presentando la mostra: «Il lavoro di Roig si inserisce nelle ricerche sul linguaggio di artisti come Bruce Nauman e Jasper Johns, con cui condivide la ricerca di una sintesi tra l’opera filosofica di Wittgenstein, ma in questa sorta di mappa della mente che Roig costruisce attraverso le sue teste, l’influsso più visibile è quello di Franz Xavier Messerschmidt, una delle figure più enigmatiche del XVIII secolo. Messerschmidt lavorava in un periodo in cui il più alto modello per uno scultore era l’arte classica, esattamente quando il culto dell’antichità era diventato più intenso che mai e il suo gusto e il suo stile erano allineati con quelli del suo tempo». Poi l’esaurimento nervoso , il ripiegamento su se stesso, il lavoro sulla propria immagine, il volto, per raccontare i demoni che lo assalivano. Maschere, col senno di poi, del rapporto tra sé e il mondo: «Roig ritorna a riprendere quei volti esattamente dove Messerschmidt li aveva lasciati: un uomo che combatte contro qualcosa che è dentro la sua testa, fa sue le smorfie dello scultore austriaco per inserirle in un contesto dove i demoni che tormentano l’uomo sono differenti, ma il risultato è sempre quello di una fondamentale incapacità di esternare questa battaglia se non attraverso l’espressione del suo volto».

Roig, aggiunge Caldirola alla vigilia dell’inaugurazione della mostra monzese, fa un passo più in là e utilizza un volto qualsiasi – nella sua produzione attraverso gli anni il padre o i suoi conoscenti – per universalizzare le ossessioni di tutti nel volto di chiunque. I suo volti, scrive Caldirola «non raccontano più una storia personale, ma un’immagine collettiva dove riconoscere i frammenti di sé e ricostruirli, nella propria testa».

In fondo “l’uomo che vendette il mondo” alla fine degli anni Sessanta era un demone personale – il fratello che scivolava nella schizofrenia – ed era un demone collettivo, quello delle contraddizioni che esplodevano e diventavano rivolte. Dove tutto era possibile e, allo stesso tempo, finito, col senno di poi. Da lì riparte Roig, per raccontare che nonostante tutto sono passati più di quarant’anni dal testo di Bowie e più di trecentoquaranta dall’esaurimento nervoso di Masserschmidt, nel 1771, ma bisogna fare i conti ancora con gli stessi demoni. Di chi vende il mondo e di chi vende la testa. Spazi che spesso corrispondono.

La mostra dopo l’inaugurazione prosegue fino al 14 aprile (mauriziocaldirola.com). Il rapporto che lega il gallerista monzese e l’artista spagnolo è speciale, al punto che lo scorso anno, quando Roig ha raccolto in un volume i volti delle persone che hanno contato qualcosa nella sua corriera, ha messo a pagina 50 quello di Caldirola. A Monza presenta quattro sculture e quattro disegni.