Andrea Coppadoro in diretta da Monza all’Uganda per fermare la pandemia Covid anche in Africa

Andrea Coppadoro, rianimatore del San Gerardo di Monza, partecipa al progetto della Fondazione Corti per aiutare l’ospedale di Lacor a Gulu, in Uganda, nell’affrontare la pandemia Covid con consulti online.
L’ospedale di Lacor in una foto della Fondazione Corti
L’ospedale di Lacor in una foto della Fondazione Corti

Dalla Lombardia all’Uganda per combattere il Covid. E a questa lotta partecipa anche Andrea Coppadoro, anestesista e rianimatore del San Gerardo di Monza, volontario della Fondazione Corti, l’organismo creato per volontà dei medici Lucille Teasdale e del marito Piero Corti, originario di Besana Brianza e fratello dello scrittore Eugenio.

L’azione si concentra sull’ospedale di Lacor a Gulu, in Uganda, uno dei più grandi ospedali dell’Africa orientale, riferimento per oltre 700mila abitanti, fondato sessanta anni fa da Corti e dalla sua consorte canadese. Prima della pandemia il nosocomio disponeva già di una terapia intensiva con otto posti letto che si prendeva cura di una media di tre, cinque pazienti la settimana che necessitavano della ventilazione meccanica. Si trattava di persone con ostruzioni delle vie aeree, vittime di morsi di serpente o di gravi infezioni e donne con complicazioni dovute alla gravidanza o al parto.

Con l’avvento del Covid l’ospedale ha mantenuto queste funzioni anche se è stato costretto a ridurre le emergenze. Nonostante ciò nelle sei sale operatorie del Lacor, si effettuano una trentina di operazioni al giorno. Il virus ha spinto la direzione dell’ospedale ad aprire una terapia intensiva interamente dedicata e qui entrano in gioco i medici lombardi: i volontari della Fondazione Corti, guidata da Dominique Corti, la figlia di Piero e Lucille, maggiore sostenitore del nosocomio ugandese, e l’ospedale Sacco di Milano che si è preso a cuore i sanitari africani. Ogni due settimane i camici bianchi della Lombardia si collegano con i colleghi di Lacor per chiarire ogni loro eventuale dubbio, per dare consigli e condividere le pratiche della gestione della pandemia.

Si discute di quali farmaci usare, del loro dosaggio, dell’utilizzo dell’ossigeno e di tanto altro ancora per cercare di salvare la vita al maggior numero di pazienti possibile. Il tutto in un contesto in cui la popolazione è immunodepressa e i numeri dei sanitari e dei posti letto non sono paragonabili a quelli occidentali.

In Africa c’è mediamente un posto letto di terapia intensiva ogni milione di abitanti contro gli ottanta disponibili in Italia e sono presenti 0,2 medici ogni 100mila persone contro i 400 dell’Italia. Eppure, le distanze non sembrano essere un ostacolo insormontabile e, anche a detta di Dominique Corti, il contributo dei medici italiani, che già avevano collaborato coi colleghi ugandesi per sconfiggere l’Ebola, costituisce “un valore inestimabile”.