Afghanistan: presto in Italia le donne che collaborano con Pangea Onlus, alcune picchiate dai talebani a Kabul

Le donne afghane che collaborano con Pangea Onlus hanno raggiunto l’aeroporto di Kabul e arriveranno presto in Italia, su voli dell’esercito italiano. Lo conferma la seregnese Silvia Redigolo, di Seregno, responsabile della comunicazione dell’associazione, che ha raccontato anche di aggressioni dei talebani.
Silvia Redigolo di Seregno responsabile comunicazione di Pangea durante uno dei suoi viaggi in Afghanistan qualche anno fa
Silvia Redigolo di Seregno responsabile comunicazione di Pangea durante uno dei suoi viaggi in Afghanistan qualche anno fa Paola Farina

Dopo diversi tentativi ce l’hanno fatta. Le donne afghane che collaborano con Pangea Onlus hanno raggiunto l’aeroporto di Kabul e arriveranno presto in Italia, su voli dell’esercito italiano. «Non è stato facile», racconta Silvia Redigolo, di Seregno, responsabile della comunicazione di Pangea, associazione milanese impegnata in Afghanistan dal 2003 con progetti a sostengo dei diritti delle donne e dei bambini.

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Le denunce di violenza sulle donne afghane pubblicate da Pangea

«La condizione dell’aeroporto di Kabul in questo momento è tragica. Era da venerdì che tentavamo di fare arrivare le ragazze allo scalo. Abbiamo dovuto fare più tentativi, perchè la folla intorno schiacciava le donne. I talebani sparavano e frustravano. Sapere di avere delle donne con i bambini in mezzo alla folla che spingeva è stato angosciante . Per loro è stato stremante. I bambini hanno visto i genitori frustrati. Le donne di Pangea sono state picchiate e hanno enormi lividi sul corpo. Hanno veramente lottato come delle leonesse, hanno passato ore e ore sotto il sole, nella calca. Per fortuna, stamattina siamo riusciti a fare entrare l’ultima donna in aeroporto».

Nonostante tutto, ora le donne sono salve. Con loro ci sono i familiari, tra cui molti bambini. Si tratta in totale di circa 250 persone che stanno arrivando in Italia. Atterreranno a Fiumicino e saranno sottoposti alla quarantena, come prevedono le norme anti Covid.

«Poi inizierà il percorso per lo status di rifugiato» racconta la seregnese, che da giorni, insieme al presidente di Pangea Luca Lo Presti e al resto dello staff, sta seguendo la situazione in Afghanistan con tanta preoccupazione. Le collaboratrici afghane dell’associazione, non appena i talebani sono entrati a Kabul, hanno bruciato i documenti e l’archivio con tutti i dati delle donne destinatarie dei vari progetti avviati nel corso degli anni. In pratica, il lavoro di una ventina di anni. Distruggere i documenti è stato necessario, per evitare di essere individuate e portate via.

«Pangea lavora per i diritti delle donne: è un’attività scomoda. Le nostre collaboratrici in Afghanistan rischiano la vita».

Ora per molte di loro inizia una nuova vita. Chi resta nel Paese tornato nelle mani dei talebani, invece, continuerà a sentire vicino l’associazione: parola di Pangea. «Non li lasciamo soli».

«I prossimi saranno anni duri e noi saremo lì perché non possiamo tradire le promesse che abbiamo fatto a loro e a tutte le donne del paese degli aquiloni» scrive Pangea sui social, raccontando del progetto della scuola delle bambine e dei bambini sordi a Kabul.