A Vimercate un Patto per l’educazione digitale, smartphone ai figli: «Dalla seconda media»

È uno dei tre obiettivi che devono porsi le famiglie che intendano rispettare il Patto, gli altri due sono la partecipazione con i figli a momenti di educazione digitale e fissare regole sull’utilizzo del telefonino sottoscrivendo un accordo con i loro figli che insieme a loro si impegneranno a rispettare.
Un ragazzo con il telefonino
Un ragazzo con il telefonino

È stato siglato giovedì 10 giugno il Patto di Comunità per l’educazione digitale. La firma è una tappa finale di un percorso avviato nei mesi scorsi per dare una risposta innanzitutto alla domanda “Qual è l’età giusta per dare uno smartphone a mio figlio o a mia figlia?” e che ha visto coinvolti tanti genitori vimercatesi e Marco Gui, professore di Sociologia dei media presso l’Università di Milano-Bicocca e promotore del progetto “Benessere Digitale”.

Il patto è stato firmato giovedì dal sindaco Francesco Sartini, da Vanessa Trapani, presidente di Sloworking, da Marco Gui, direttore del Centro di Ricerca Benessere Digitale dell’Università di Milano-Bicocca e da Federica Zanetto, medico pediatra, in rappresentanza dei medici che hanno collaborato al progetto.

Questi i tre obiettivi su cui il Patto chiede alle famiglie che lo desiderano di impegnarsi: attendere fino almeno alla seconda media per la consegna di uno smartphone personale connesso in rete; partecipare con i figli a momenti di educazione digitale prima della consegna dello smartphone; regole l’utilizzo dello stesso sottoscrivendo un accordo con i loro figli che insieme a loro si impegneranno a rispettare. In particolare: a) smartphone trasparente ai genitori fino a 14 anni; b) luoghi e orari definiti per tutti c) app, social e giochi nel rispetto di leggi e indicazioni sulle età adatte.

Il professore Gui ha spiegato il motivo della scelta di attendere fino alla seconda media: «Ci sono due motivi. Da un lato, i dati esistenti mostrano che chi riceve uno smartphone prima di quell’età ha – sul lungo periodo – performance scolastiche più basse; dall’altro, ai genitori sembrava importante che l’entrata nella scuola secondaria di I grado, già difficile, non fosse gravata anche dal problema dello smartphone, oltre che si potesse permettere una socializzazione tra i nuovi compagni di classe libera dai gruppi whatsapp».

Vanessa Trapani, presidente dell’Associazione Sloworking, ha sottolineato l’importanza del processo che ha portato a questo patto. «Si è partiti da una fase di ascolto delle famiglie intervenute agli incontri (oltre 150), per allargare il confronto ai pediatri e ai docenti delle scuole, con il fine di comprendere quali e quanti fattori entrino in ballo quando decidiamo di dare ai nostri figli una prima “autonomia digitale” e come spesso questo passo sia vissuto non come una scelta ponderata, ma come una resa alle pressioni sociali, commerciali e – soprattutto durante il difficile periodo segnato dalla pandemia – alla necessità di garantire ai figli un canale di socializzazione. L’elemento fondamentale di questo patto è, a mio parere, il fatto di aprire un dibattito su questo tema, di consentire un confronto costruttivo sui reali bisogni dei nostri figli, su cosa significhi essere digitalmente competenti».

Le famiglie saranno supportate dall’amministrazione comunale che, firmando il Patto, si impegna a contribuire alla sua diffusione attraverso la concessione di spazi pubblici per momenti informativi e formativi e la sua pubblicizzazione tramite i propri canali e presso le scuole: «Mi piace pensare alla dimensione “digitale” come ad una “scoperta” più che ad una “invenzione”, che ci apre le porte di un nuovo mondo da scoprire e inventare allo stesso tempo, e per il quale occorre scrivere regole nuove che ci permettano di viverlo – ha commenta il sindaco Sartini -. Il primo elemento che oggi poniamo al centro di questa iniziativa è un caposaldo della nostra convivenza civile: la comunità come soggetto determinante non solo nel processo educativo, inclusivo e di sviluppo, ma anche di tutela e di protezione. Oggi siamo consapevoli che il nuovo mondo digitale offre potenzialità inimmaginabili e nasconde insidie estremamente pericolose e subdole. Occorre quindi affrontarlo non da soli, specialmente nella fase della preadolescenza, e non possiamo neppure lasciare le famiglie sole e senza riferimenti ad affrontare un passaggio che i nostri ragazzi ci chiedono di fare sempre più in anticipo».

«È un progetto sicuramente “necessario” – ha dichiara invece Simona Ghedini, assessore alle Politiche Sociali -. Essere abili nell’uso delle nuove tecnologie non significa conoscerle in modo approfondito ed essere consapevoli dei rischi ad esse connesse. Il web è prima di tutto una risorsa ma come tutti i nuovi linguaggi richiede un certo impegno per arrivare a padroneggiarlo e trarne i più numerosi benefici. I ragazzi spesso hanno una conoscenza estesa ma superficiale soprattutto legata alle “ricompense” oppure all’immagine. Occorre impegnare anche i genitori ad una sorveglianza attiva, presente, consapevole, più orientata alla crescita digitale che alla repressione, all’errore utile piuttosto che alla punizione fine a se stessa».