A Monza la prima donna arrivata ai vertici di un centro islamico

Tahany Shahin vive a Monza da più di vent’anni ed è la prima donna ai vertici di un centro islamico in Italia. L’impegno in politica, l’insegnamento del Corano, gli incontri con gli studenti: la monzese nata in Egitto lavora come aiuto educatrice in un nido ed è la vicedirettrice di via Ghilini.
Monza Shahin Tahany
Monza Shahin Tahany Fabrizio Radaelli

All’asilo nido Bimbinsieme di via Magenta a Monza la parola “benvenuto” si declina in tutte le lingue del mondo. È qui che lavora come aiuto educatrice Tahany Shahin, origini egiziane, da 24 anni in Italia con il marito e due figli nati a Monza. Conosce talmente bene la città («prima di prendere la patente giravo solo a piedi«) che adesso quando è in auto con le amiche fa “il navigatore in arabo”.

Donna vulcanica dal sorriso aperto e dalle mille risorse è la prima in Italia ad essere stata nominata vicedirettrice al Centro islamico di Monza, in via Ghilini.
«Non ho cercato questo ruolo – spiega – mi sono presentata come volontaria, il direttore ha capito il grande lavoro che sto facendo e mi ha dato questo ruolo che spero possa essere d’esempio per altre. Va bene così, la direzione avrebbe sicuramente suscitato polemiche».

Al centro Islamico Tahany insegna il Corano, ha introdotto corsi di autodifesa per le donne e le ragazze, sta cercando una piscina che possa riservare un orario settimanale solo per donne per i corsi di nuoto, organizza corsi di arabo per i bambini e altri per gli adulti aperti a tutti.

«Due anni fa ero riuscita ad ottenere delle aule al Mosé Bianchi, ma adesso la provincia ci ha bloccato il progetto e siamo tornati in via Ghilini dove gli ambienti sono solo tre e servono per pregare e fare tutte le attività».

In lotta con gli spazi troppo ristretti per ospitare anche mille persone per volta, sogna una moschea a Monza, ma sa bene le difficoltà a cui andrebbe incontro: «Leggo i titoli dei giornali, Milano blocca le moschee, non immagino cosa potrebbe succedere in Brianza. Eppure sarebbe tutto più semplice. Un luogo di culto, uno spazio per i nostri figli, per le donne».

Commenta il nuovo governo con un sorriso tra l’amaro e il divertito. «Però ogni tanto – dice a sorpresa – riesco anche a dare ragione a Salvini. È giusto pretendere controlli, documenti in regola, evitare l’arrivo di minori soli che vengono lasciati partire con un carico di responsabilità perché dovranno provvedere alle loro famiglie in patria».

La diffidenza verso l’immigrato lei la sente ancora sulla propria pelle: «Per strada con il velo non è facile, quante volte mi hanno detto di tornarmene al mio Paese». Ma lei ora in Egitto si sente straniera , almeno quanto in Italia.

«Ho la cittadinanza italiana e mi sono candidata alle ultime due elezioni amministrative a Monza con Scanagatti. La prima volta ho preso settanta voti , l’anno scorso invece sarei entrata in consiglio se avesse vinto il centrosinistra. Ho scelto l’impegno politico perché non mi piace che altri decidano per me senza sapere cosa vuol dire emigrare e lasciare le proprie radici. Mi impegno per i miei figli e tutti i figli di migranti che sono nati in Italia e si sentono italiani, sono al tavolo donne e salute per contribuire a diffondere la cultura della prevenzione tra le donne arabe, ma sono sola e invece mi piacerebbe che altre donne musulmane investissero il loro tempo come faccio io».

A Tahany piace parlare ai giovani nelle scuole («anche se poche mi invitano») perché la vera integrazione parte da una cultura aperta che si impara fin da piccolissimi. È più facile al nido dove lavora e dove si festeggiano il Natale e il Ramadam, dove ci sono stati presepi con una madonna buddista e un San Giuseppe musulmano, è più difficile alle superiori dove ancora in pochi le aprono le porte.

«Ho parlato all’Hensemberger del ruolo della donna nella cultura musulmana ho cercato di far cadere alcuni cliché. Alla fine ho ricevuto tanti bigliettini di stima e qualche ragazzo che non aveva mai rivelato di essere musulmano e di parlare arabo ha trovato il coraggio di farlo».

Faccio notare che per le ragazze musulmane che portano il velo in classe è più difficile: «Portare il velo è una scelta, non deve essere imposto dalle famiglie. Dico ai genitori che vengono da me preoccupati perché la figlia vuole vestire all’occidentale che se hanno saputo educare nel modo giusto e hanno parlato con amore della religione arriverà il momento in cui sceglieranno di metterlo, ma che imporlo non ha senso».