Albani e il ricordo di Marco Pantani“Se accanto ci fosse stato Magni…”

Giorgio Albani ha corso con Fausto Coppi e Gino Bartali, ha lanciato Eddy Merckx nella leggenda. «Ma quel che fece “il Pirata” a Oropa ebbe dell’incredibile. Se ci fosse stato un uomo come Fiorenzo con lui, giù dalla bici...». Il campione di Monza ricorda Marco Pantani, a dieci anni dalla morte.
«Il Pirata» di Cesenatico, ritrovato senza vita dieci anni fa, a Rimini
«Il Pirata» di Cesenatico, ritrovato senza vita dieci anni fa, a Rimini

Braccia alte al Giro d’Italia, ma anche Agostoni, Bernocchi e Tre valli varesine. Poi, giù dai pedali, angelo custode del Cannibale, per alcune delle pagine più belle delle due ruote a pedali. Giorgio Albani, ottant’anni fra tubolari e borracce, da corridore e direttore sportivo ha toccato con mano il sudore dei più grandi del ciclismo. Coppi, Bartali, Merckx.

“Ma non mi dimenticherò mai della vittoria di Marco Pantani a Oropa”.

È il 30 maggio del 1999, Albani è in auto con il presidente della giuria. “Ho il ricordo davanti agli occhi. Un’azione che parla di un ciclismo alla Coppi e Bartali, per intenderci. Solo che le imprese di Fausto e Gino io non potevo vederle, perché in bicicletta venivo staccato. Ma questa volta ero in auto. E non potrò mai scordarmi di ciò che fece”. La catena si incastra fra rocchetto e telaio, il Pirata smonta di sella e si improvvisa meccanico. Là davanti i suoi della Mercatone Uno gli stavano preparando la strada. Ma Pantani risale in sella, riprende 48 corridori e nell’ultimo chilometro stacca Laurent Jalabert, poi vince in solitario. La rimonta del secolo, la chiameranno subito dopo.

Immagini lontane, quelle di Pantani che vola come l’elefantinò, come dicevano i francesi della prima ora, di fronte a quel ragazzo calvo con le orecchie alla Dumbo, negli anni in Carrera. Fotogrammi di estasi tramutati in dolore prima, in malinconia poi.

A partire da quel San Valentino del 2004, giorno degli innamorati. Il residence Le Rose di Rimini, però, si trasforma in terreno di crisantemi. Marco Pantani, il 14 febbraio, è ritrovato senza vita nella sua stanza. Dieci anni fa.

“Pochi mesi prima parlai con Giuseppe Martinelli, che guidava la Mercatone Uno. ‘Non ci siamo, questa volta non recupera più”, mi disse, parlando di Marco. Di sicuro non è mai stato un ragazzo di facile gestione. Avrebbe forse avuto bisogno di un Fiorenzo Magni, accanto a lui. Che potesse essergli di esempio e aiutarlo. Ma soprattutto fuori dal mondo del ciclismo, la sensazione è che non abbia avuto compagni ideali. È davvero un peccato che sia vissuto così poco. Se fosse qui oggi? Certamente avrebbe un ruolo di primo piano nelle grandi corse a tappe. Del resto è stato un corridore moderno di un ciclismo moderno. Oggi è necessario scegliere gli appuntamenti per ottenere il massimo dal calendario e dalle caratteristiche di ciascun ciclista. E Pantani il meglio di sé l’ha dato proprio nelle grandi corse a tappe”.

Un Giro d’Italia e mezzo, per dire di quello del ’99. Un Tour de France. “Gare di questo tipo non le vinci se non hai grandi mezzi”, prosegue Albani. “Atleticamente era un corridore atipico, difficile da paragonare ad altri atleti che sono arrivati prima di lui. Di quelli di oggi faccio più fatica a parlarne, visto che il mio ultimo Giro è stato nel 2007. L’ultima Milano-Sanremo l’anno dopo. Per quel che l’ho conosciuto giù dai pedali posso dire però che era un ragazzo di poche parole. Lo conobbi grazie a Davide Boifava, direttore sportivo della Carrera. Poi ci incontrammo proprio con la Mercatone di Romano Cenni e Martinelli. È un peccato che oggi non sia qui”.