Arriva l’autunno, tempo di castagne. Dove andare a raccoglierle? Un’idea io ce l’avrei. A quanti amano fare le ferie fuori dal periodo turbolento del ferragosto propongo una meta molto particolare: Rossano calabro, in provincia di Cosenza. Far castagne in Calabria? sul mare? Sissignori. Perché a Rossano Calabro, a pochi chilometri dal mare, a un’altitudine di 600 metri sulla Sila Greca, c’è un bellissimo bosco, unico in Europa. In uno spazio di pochi ettari vivono rigogliosi 103 castagni millenari.
Se arrivate a Rossano, però, non andateci da soli, fatevi accompagnare da quel personaggio curioso che è Fabio Menin, professore di italiano alle scuole medie di Rossano, che si è preso a cuore questa vicenda. La sua, ormai, è diventata una ragione di vita: proteggere e far conoscere questa realtà. Per attirare l’attenzione dei botanici ha creato un’oasi sotto l’ala protettiva del Wwf: Oasi I giganti di Cozzo del pesco.
“Prima di morire – ci dice il professore Menin – devo scoprire questo segreto. I castagni non gradiscono la presenza di altre piante vicine che tolgono loro luce e ossigeno. Perché mai, allora, questi castagni hanno fatto società? Sono venuti botanici da tutto il mondo a visitare quella che è stata valutata una rarità e non solo per l’Italia e nessuno, ancora, è riuscito a svelare questo mistero”.
Dalla strada al bosco si cammina per una quindicina di minuti. Poi, all’improvviso, il bosco si trasforma e ci si trova immersi tra alberi giganti da sembrare querce. I tronchi hanno fessure che possono ospitare le persone. E la circonferenza di un albero la si contiene con una decina di persone con braccia aperte. Sembra di vivere nel mondo delle fiabe.
“Merito dei monaci dell’Abbazia del Pathirion, o semplicemente “Patire” (dal greco Patèr = padre). Furono loro, in epoca bizantina, intorno all’anno Mille, a piantarli. E controllarono questo bosco fino all’arrivo dei Francesi di Napoleone, che li costrinsero ad abbandonare l’abbazia”.
L’abbazia del Patire, altro gioiello che merita di essere visitato. Il recupero di questa abbazia mostra un incrocio architettonico tra l’arte bizantina e quella romanica. Abside trilobata e mosaici a pavimento di rara bellezza. In epoca normanna divenne uno dei più ricchi e rinomati monasteri dell’Italia Meridionale. L’Abbazia possedeva anche una ricca biblioteca e uno scriptorium dove lavoravano monaci amanuensi per la trascrizione di antichi codici. Dal prato che circonda l’abbazia si può ammirare uno strepitoso paesaggio sulla pianura di Sibari e sul golfo di Taranto.
Sulla via del ritorno gli occhi rimangono incantati dalle estensioni di olivi (che qui raggiungono un’altezza di quattro metri) e delle clementine. Una degustazione tra le tante aziendine agricole della zona non guasta. E per finire in bellezza la gita, una tappa al museo della liquirizia della famiglia Amarelli a Rossano. Lì si può capire come la genialità dei greci e la creatività dei calabresi hanno trasformato una pianticella infestante (la liquirizia, appunto), in un tesoro, tanto da essere definita: l’oro nero di Calabria.
La ditta Amarelli produce ancora oggi liquirizia, liquori alla liquirizia (persino la birra alla liquirizia), esportando i propri prodotti in tutto il mondo. La materia prima non ha costi all’origine (le piantine arrivano dal territorio una volta estirpate perché fastidiose) e non produce rifiuti in quanto gli scarti della produzione (radici e foglie) vengono rigettati sui terreni come concime. Semplicemente geniale.
Ezio Pellegrini