Cari, maledettissimi anni OttantaPiccola enciclopedia per nostalgici

Nostalgia degli anni Ottanta? Perché no. In fondo è stato il decennio rinnegato fino a poco tempo fa, ma forse non era così tutto sbagliato. E allora un libro, ''Correva l'anno della Girella'', per riscoprire quegli anni senza vergogna. Perché soprattutto, dicono gli autori, sono stati divertentissimi.
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Monza – Che poi oggi scendi in strada e vedi uno con i capelli squadernati sulla testa anaerobicamente, gli occhiali con dei colori che no-non-è-davvero-il-caso, i jeans alti sulla caviglia o magari una maglietta che casca un po’ a destra o un po’ a sinistra sulle spalle, lunga sui fianchi fino oltre alle anche, per coprire dei pantaloni stretti stretti che hai voglia a chiamare leggins: si dice fuseaux. E non li renderà belli cambiar loro il nome. Per chi non c’era, pace. Per chi c’era, quelli sono gli anni Ottanta. E forse nella parte che davvero i più avrebbero voluto dimenticare, insieme ai colpi di coda del terrorismo e alla guerra fredda che non sembrava dovesse mai finire. Dal 1980 al 1989 (anche se i bizantini diranno che sarebbe corretto dire dal 1981 al 1990 – ma no, non è la stessa cosa, quello che conta sono le pance di quell’otto davanti e dietro): la decade del tutto e subito, del tutto è possibile, del tutto. Quelli che Altan aveva liquidato con una vignetta come al solito spietata: dopo il freddo degli anni di piombo, godiamoci il calduccio di questi anni di m.

Be’? Davvero tutto da cestinare? Sembrava di sì, una verità condivisa per tutti gli anni a seguire. Poi il tempo è passato e ora, collettivamente, si può fare outing: no, ci siamo divertiti. E abbiamo tante cose da raccontarci. Lo sanno bene Elisabetta De Biasio e Giampiero Canneddu che dopo avere partorito un blog dedicato agli Ottanta, si sono presi la briga di studiare, analizzare, raccogliere, verificare e scoprire anche quello che forse sarebbe stato il caso di lasciare sotto il tappeto della storia. È nato così “Correva l’anno della Girella”, la prima vera antologia critica di una decade per nostalgici e per chi ormai ha fatto i conti con se stesso. Perché chi li ha vissuti davvero, allora aveva tra i dieci e i venticinque anni (così, un po’ a spanne): oggi sfiora i quaranta e arriva a cinquanta. E allora non può che rimpiangerli.

Trattenere il fiato, si parte: Madonna e i Duran Duran, Spandau ballet, Clash, la televisione sempre a colori, i paninari, i dark, i metallari, gli Iron maiden, il gel, le Timberland, le Nike, e poi gli hamburger, il Ciao, il Sì, il Califfone, le marmitte, la Bmx, le luci della moda, Milano da bere e che gli vada di traverso, il cubo di Rubik, Reagan e Gorbacev, Bruce Springsteen, Rambo, i Goonies, Blade runner, le videocassette, il Calippo, il supertelegattone, maiavutocarieinvitamia, gli yuppies, il mito di New York e I love NY con il cuore rosso, gli orologi digitali, Pertini, zoffcollovatiscireagentilecabrini eccetera eccetera, l’Invicta, Et telefono casa, Deejay television, i Visitors, il tango (che era un pallone) e il Commodore 64, i cartoni animati giapponesi e il catch, la sfida tra i Lakers e i Celtics, il Drive In o Indietro tutta per gli adulti in ritiro ludico postsessantottino. E poi lui: Michael J. Fox che tornava indietro nel tempo con la DeLorean modificata da Doc. E se proprio volessimo toccare il cuore, due parole: Bimbo mix.

Gli alti e i bassi, con una costante: è il primo decennio in cui il mondo è stato interamente a colori, come non era mai stato. Forse per quello quell’ingordigia di tinte emendabili. E il libro racconta tutto (per quanto gli vadano strette trecento pagine). Mettendo sotto il naso i suoi profumi: «Il misto di carta e di adesivo che si sprigionava da un pacchetto di figurine appena aperto», «l’odore di miscela bruciata malino dallo scappamento di un Ciao» e «quello di fritto intenso della paninoteca di periferia». Inizia con gli Usa che boicottano le Olimpiadi di Mosca (l’annuncio a gennaio 1980) e finisce con il muro di Berlino che va giù, a novembre del 1989. Per capitoli: videogames, le figu, la Proma, la teledipendenza, i telefilm, i, la moda e tanto altro. Glossario e quiz inclusi. E senza dimenticare i segreti. Sembra storia di oggi: la Rai che perde occasioni. La televisione nazionale aveva avuto i diritti di “Dallas”, ma finì per cancellarlo dai palinsesti sotto la falce della censura. Ne approfittò un tale, con delle televisioni private. Com’è andata a finire, lo sapete.
Massimiliano Rossin