Ci sono fotografie in cui Luigi Tenco sembra guardare oltre l’obiettivo. Occhi scuri e profondi, lineamenti decisi. Sono immagini di un’altra epoca, di un periodo che si sarebbe chiuso in un giorno di fine gennaio del ‘67 in una camera d’albergo di Sanremo. Oggi quegli occhi sono di nuovo in scena con Francesco Baccini che con Tenco non condivide solo la genovesità (per nascita o acquisita) o una somiglianza nel volto («Anche Fabrizio de Andrè, a volte, mi chiamava Luigi. “Belìn, ma siete uguali” diceva»), ma anche la capacità di ricantare le stesse parole dando loro nuova vita. Due cantautori a confronto.
Il progetto “Baccini canta Tenco” è in viaggio da oltre un anno e dal novembre scorso è diventato un disco live. Oltre che una nuova serie di date teatrali.
«E’ un omaggio, un esperimento – racconta il cantautore – Neanche lo stesso Tenco ha mai avuto modo di cantare davvero il suo repertorio, è morto troppo giovane e poi la sua immagine si è come cristallizzata. Io, dopo averlo conosciuto da ragazzetto, l’ho riscoperto facendo ricerche su internet. E ho capito che avevamo molte più cose in comune di quanto immaginassi».
Ironico e intimista, è nato tutto così. «Mi sono sentito una specie di Indiana Jones: ho preso delle canzoni di cinquant’anni fa e con la chitarra di Armando Corsi le abbiamo riarrangiate, rivestite con un abito di oggi. Per scoprire che Tenco non era quel depresso che poteva sembrare, era molto arrabbiato. E’ stato il primo a scrivere canzoni ironiche e testi sociali, in un periodo in cui c’erano ancora i Claudio Villa. Era più avanti di quegli anni, viveva male».
Censurato in Rai per canzoni come “Cara maestra”, usava un linguaggio semplice. «I suoi testi erano immediatamente comprensibili, non c’era bisogno di analizzarli come quelli per esempio di un De Andrè. Per questo era pericoloso: canzoni d’amore e rivoluzione che potevano colpire tutti. E oggi arriva ancora, immediato e dritto allo stomaco. Ha aperto quelle strade poi percorse da tutti i cantautori».
Con Baccini, Tenco (uno che come lui stesso cantava “parlava troppo poco, sorrideva di rado”) riscopre il lato ironico e suona a ritmo jazz e rock, ballade e bossa nova. Eclettico, senza un’etichetta. In scena diciotto brani, un pianoforte nell’ultima regia di Pepi Morgia (già collaboratore di De Andrè, scomparso l’anno scorso) e gli arrangiamenti del chitarrista genovese Armando Corsi per un pubblico multigenerazionale che va dai 25 ai 70 anni. Fotografie di un’Italia che raccontata a distanza di cinquant’anni non sembra voler cambiare.
«Oggi vale la legge del centro commerciale» conclude Baccini, che contemporaneamente al progetto Tenco sta lavorando anche a canzoni nuove e pensa al cinema, perché non riesce a stare con le mani in mano (se no si annoia) ma non dice di più per scaramanzia. «E i cantautori sono una specie da proteggere. La tecnologia ha permesso a tutti di fare un disco, ma il problema è di comunicazione. La tv promuove un certo tipo di artista e la gente che è pigrissima va a cercare quello che sente in tv. In ogni caso, nella musica come per tutto, bisogna ritrovare il senso critico».
“Baccini canta Tenco” sabato 14 aprile è al teatro Duse in via Marco d’Agrate ad Agrate Brianza, biglietti a 25 euro (ridotto 20). Il 24 aprile sarà al teatro Puccini di Firenze. Sempre alle 21.
Chiara Pederzoli