Alleluja, l’emergenza è finita! O almeno una delle tante. Sì, perché se lo stato della pandemia Covid-19 è stato fatto passare, in Italia, da “caldo” a “freddo” per decreto, innumerevoli sono le situazioni emergenziali, reali o percepite, con cui conviviamo da anni: c’è l’emergenza economica, iniziata nell’ormai lontano 2008 e mai più terminata; c’è l’emergenza migratoria, che prosegue anche senza che qualcuno la denunci per raccattare consensi; c’è l’emergenza terrorismo, nella quale ci siamo trovati catapultati dopo i fatti dell’11 settembre 2001; c’è poi, l’emergenza bellica in Ucraina, ultimo episodio di una nuova guerra fredda tra Occidente e Russia che, se dipendesse solo dai toni “sobri” di buona parte della stampa del cosiddetto “mondo libero”, sarebbe già divenuta calda da un pezzo.
In mezzo a tutto ciò c’è una generazione che si è abituata a vivere in perenne stato di allerta. Allerta per il posto di lavoro traballante, allerta per la salute, allerta per il clima: un calderone emotivo costante in cui i problemi veri si sommano a quelli amplificati a dismisura dai media. In questa situazione, con il boom conclamato del consumo di psicofarmaci, ci si comincia a chiedere cosa fare per salvaguardare l’igiene mentale collettiva. Bene, era ora.
Ma siamo sicuri che in analisi debbano andarci le persone e non il sistema in cui viviamo?