Se ne parla poco, forse perché, come avviene da un anno a questa parte, il tema prevalente sui media è sempre e solo quello del coronavirus. Eppure gli scioperi che stanno coinvolgendo, in diverse zone d’Italia, tra cui la Brianza, i lavoratori del gigante dell’e-commerce Amazon dovrebbero fare riflettere con grande attenzione.
Il perché è presto detto: sono una finestra sul modello socio-economico verso il quale l’umanità si sta dirigendo. Un modello spesso dipinto esclusivamente con toni apologetici (si parla di digitalizzazione delle esistenze quasi sempre sottolineandone le opportunità e mai i rischi), ma potenzialmente foriero di un esponenziale deterioramento dell’equilibrio sulla “bilancia dei diritti” tra consumatori e lavoratori, a svantaggio di questi ultimi.
E, purtroppo, non è una novità perché, con la transizione digitale, quello dell’”amazonizzazione della società” è un processo in moto da anni. I corrieri in sciopero fuori dalla sede del colosso fondato da Jeff Bezos a Burago Molgora raccontano di dover consegnare anche 200 pacchi al giorno, con un tempo di consegna di neppure tre minuti. È vero, la pandemia si sta portando via diverse opportunità di un impiego autonomo e le posizioni di lavoro dipendente che si stanno aprendo grazie ai giganti del web possono essere un ammortizzatore. Già, ma a quale prezzo.