Il 22 maggio del 1873 muore a Milano Alessandro Francesco Tommaso Antonio Manzoni; moltissime le iniziative che già fervono per celebrare i prossimi 150 anni dalla scomparsa dello scrittore e drammaturgo, autore de I promessi sposi. Il celebre romanzo storico che ambienterà, tra il 1628 e il 1630, nella campagna lombarda devastata dalla guerra dei Trent’anni e stremata dalla carestia e dalla pestilenza. “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno..” queste le parole che aprono la storia, conducendo il lettore lungo uno scenario magnifico di quel territorio lecchese che si arricchisce di pendii, poggi, campi e vigne con casali e ville e boschi che abbracciano la montagna. Una spettacolare immagine di Lecco di cui il Manzoni scrisse: “un paese che chiamerei uno dei più belli al mondo!”
Ripercorriamo le tappe manzoniane partendo da Monza che lo scrittore descrive come: “un borgo nobile e antico, al quale di città non mancava che il nome; altrove parla del Lambro che vi scorre: altrove ancora dice che v’era un arciprete: con queste indicazioni non v’ha in Europa uomo che sappia leggere e scrivere, il quale tosto non esclami: Monza” con una sosta all’osteria del Baraccone, in cui Renzo, Lucia e Agnese soggiornano, il convento dei Cappuccini, le rovine del “castellaccio” visconteo e il monastero di Suor Virginia De Leyva, la monaca di Monza, “a sei anni Gertrude fu collocala, per educazione e ancor più per istradamento alla vocazione impostale, nel monastero dove l’abbiamo veduta: e la scelta del luogo non fu senza disegno. Il buon conduttore delle due donne ha detto che il padre della signora era il primo in Monza e accozzando questa qualsisia testimonianza con alcune altre indicazioni che l’anonimo lascia scappare sbadatamente qua e là, noi potremmo di leggieri asserire che egli fosse il feudatario di quel paese.”
Proseguiamo in direzione Lecco, percorrendo una tortuosa strada a chiocciola, fino al promontorio dello Zucco, dove troviamo una piccola fortezza squadrata edificata nel XVI secolo per opera dei nobili Arrigoni di Introbio che lo scrittore descriverà come il palazzotto di Don Rodrigo “…il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d’addormentati, vegliasse, meditando un delitto…. (…) sorgeva isolato, a somiglianza d’una bicocca, sulla cima d’uno de’ poggi ond’è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l’anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condizione e de’ costumi del paese. Dando un’occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa”.
Continuiamo il nostro viaggio verso il ramo lecchese del lago di Como e il piccolo lago di Garlate per fare una sosta a Pescarenico, Pescarenech, il piccolo centro a sud del ponte di Lecco sulla riva sinistra dell’Adda, là, nel punto in cui il lago di Como si restringe. All’epoca della vicenda del romanzo era un minuscolo villaggio di pescatori, oggi è un sobborgo industriale, l’unico luogo di Lecco citato esplicitamente dal Manzoni nei Promessi Sposi “ è Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare. (…) Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole s’alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità de’ monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendii, e nella valle. Un venticello d’autunno, staccando da’ rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall’albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne’ campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. La scena era lieta.”
E sarà da Pescarenico che il pesciaiolo porterà ad Agnese e Lucia notizie del loro paese natale, nel periodo in cui erano rifugiate a Monza, con il suo convento dei Cappuccini “ il convento era situato al di fuori, e in faccia all’entrata della terra, con di mezzo la strada che da Lecco conduce a Bergamo” dove vivevano fra Cristoforo e fra Galdino e da dove si allontanerà in barca Lucia per fuggire dalle mire di Don Rodrigo.
Nel quartiere di Chiuso, sempre a Lecco, c’è la casa del sarto che ospitò Lucia Mondella, poi rapita e tenuta prigioniera nel castello dell’Innominato dove troverà nuovamente la libertà grazie alla pietà e al ravvedimento dell’Innominato. La presunta casa di Lucia si dice che si trovi ad Olate “…dominate da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch’era nel mezzo del villaggio, e, attraversandolo, s’avviò a quella di Lucia, ch’era in fendo, anzi un po’ fuori. Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla strada, ed era cinto da un murettino..” A Lecco, in una villa settecentesca neoclassica situata nei pressi di largo Caleotto, sotto il dentellato profilo del Resegone, il Manzoni trascorse tutta la sua infanzia e adolescenza; oggi è sede del museo manzoniano, con le sue 11 sale che contengono i suoi preziosi manoscritti e cimeli.
Tutti questi luoghi, impreziositi dal profilo delle montagne che si riversano sul lago, hanno animato e ispirato i racconti del Manzoni; quelli visitabili non sono molti perché tanti edifici sono di proprietà privata, ma è possibile ripercorrere le tracce dell’antica storia, diventandone protagonisti; un passo indietro nel tempo lungo un romanzo che non conosce tempo.