Una storia d’amore disperata: Teresa Casati e Federico Confalonieri

Il ricordo della drammatica vicenda di due sposi e dei loro affanni.
Federico Confalonieri e Teresa Casati

Questa è la storia d’amore e di lotta della contessa milanese Teresa Casati e Federico Confalonieri. Si conobbero in una sera di novembre del 1806 a Milano nel Reale Orfanotrofio Femminile, durante una festa di beneficenza. Tra le ragazze delle migliori famiglie meneghine, Teresa appariva timida e riservata. Fu notata dal conte che, per amore di una donna, aveva attraversato anni di profonda malinconia fino a sfiorare l’idea del suicidio. In quel periodo amava circondarsi di belle donne, sempre più convinto che non avrebbe mai preso moglie, ma con la contessa fu subito amore. Le loro nozze si celebrarono il 15 ottobre 1807. Qualche tempo dopo Federico riallacciò i rapporti con la Carboneria e la Massoneria Nordica, diventando capo indiscusso. Teresa, dama di corte, molto corteggiata da Eugenio Beauharnais, divenne segretamente seguace e sostenitrice di Federico, entrando nella loggia carbonara; il suo salotto fu ritrovo segreto. È fitto il carteggio intercorso fra i due.

Monza il 30 Settembre 1812.
Carissimo Federico, Lode al Cielo, che finalmente hai ricevuto le mie lettere; ti assicuro che ero inquieta, su questo punto, disperando quasi, di potere fartene avere. Tu stai bene, e ti diverti, e la tua povera Teresina è nella tristezza e in una solitudine perfetta; oggi partono assieme per la campagna la Sirtori e la Durini, onde io non potrò andare nemmeno al teatro la sera, non amando di trovarmi sola. Il mese e mezzo è portato ai due mesi e più! chi sa che non prolunghi ancora la tua assenza, già adesso non posso crederti più, e mi bisogna per credere, come a S. Tomaso, vedere e toccare. Il nostro Ciechino continua a stare come questi giorni passati, puoi esser sicuro sulla cura che ho di lui. In questi giorni, attese le passeggiate della Principessa, non ho potuto andare alla Santa, ed ho fatto venire qui invece il Ciechino alla mattina per medicarlo e vederlo. Nessun dettaglio ancora della battaglia di Borodino. Nessuna nuova della città giacché i miei corrispondenti hanno l’arte di scrivere molto, senza dir niente. Cicchino sta bene d’umore, mangia bene, dorme a meraviglia e con una respirazione naturale, egli fa la lunghezza d’una stanza senza appoggio, ma si vede però che non é sicuro sulle gambe. I dottori Monteggia e Gianella trovano ch’egli ha guadagnato in forze, e il primo assicura che la malattia alla spina é niente aumentata, ma non ha però punto diminuito.
Addio vogliami bene aff.ma Moglie

Monza il 9 Agosto 1813 alla mattina.
Carissimo Federico, Non ho ulteriori nuove da darti, dopo quelle che ti scrissi nella mia 5^ lettera, il Principe va a Udine; alcuni pretendono che sia solamente una corsa per vedere le truppe e mettere il tutto in pronto nel caso che si faccia nuovamente la guerra, la pluralità però crede che questa guerra La povera Principessa è assai triste, e trovo ben naturale che lo deva essere, non c’è nessuno meglio di me che la possa compatire; essa si trova nuovamente incinta, ma ciò è un mistero, onde non ne parlare. Immaginati l’allegria che deve regnare qui. lo finisco la mia dimora in questa Real Villa il 22 corrente, spero che a quest’epoca sarà imminente il tuo ritorno, e Dio volesse che fosse già seguito. Sono le undic’ore, bisogna adunque che mi porti alla messa, non chiudo la lettera per vedere di rintracciare qualche nuova. Addio, frattanto, ti abbraccio di vero cuore. Addio, ama una volta esclusivamente quella che è sempre stata, e sarà eternamente tutta tua. Chi mai oserà dirti, che non potrai trovare le dolcezze dell’amore che con lei? se la vedessi, se il Cielo me la facessse conoscere, la scongiurerei di togliermi la vita colle sue mani, lasciarmi l’uomo da cui questa dipende. L’infame è ben mascherata ai miei occhi, la disprezzo più che il più vile verme della terra, e perchè non si ecciteranno anche in te questi sentimenti? nessuno meglio di te può sapere quanto li meriti. Ma a che parlo, a qualfine! non ne parlerò più, no non fo che esacerbare il mio dolore, e il sangue fa in me una rivoluzione, tutte le volte che mi vengono questi pensieri, che non saprei rendere, e tu sarai indifferente a tutto questo! Addio mio caro ricordati il più possibile di una persona che non respira che per te, e che ti sarà eternamente
aff.ma Moglie
T. C. C.

Il 21 dicembre 1822 Federico Confalonieri finisce in carcere: l’Austria lo accusa di lesa maestà. Il 7 gennaio 1823, dopo un anno di prigionia, Teresa gli invia una lettera disperata:è un anno oggi che non mi è concesso vederti! Non so spiegarti come abbia potuto sopportare una così lunga privazione! L’attribuisco al non aver conosciuto in prevenienza la sua durata. È forza conoscere in tutto la mano della Provvidenza che ci è altrettanto benefica quanto più non siamo sventurati. Ora la lusinga di presto riabbracciarti mi dà nuova vita: ed aspetto quel sospirato istante con impazienza che non saprei descriverti”.

Dopo il loro primo incontro in carcere la corrispondenza si fece sempre più fitta: incominciarono a scriversi lettere d’amore intrise di tanta tragedia e passione. A Natale del 1823 Teresa ottenne il permesso di parlare con l’imperatore per chiedergli la grazia, ma la risposta di Sua Maestà fu lapidaria: “Contessa, quanto io tenga della virtù di lei e dell’affetto che mostra per suo marito, ho voluto attestaglielo coll’annunziarle io di mia propria bocca che ho confermato la sentenza di sua morte, perché l’impero ha bisogno di esempi”. Teresa non si diede per vinta. E così, in una sola notte, contro la sentenza raccolse trecento firme tra le quali quelle di Manzoni, del vescovo Nava, dell’arcivescovo Gaisruk. Il 6 gennaio 1824 il fratello di Teresa consegnò la petizione ma l’imperatore, nel frattempo, aveva già commutato la condanna a morte del conte in dura carcerazione allo Spielberg: “così, all’età di trentanove anni, si chiude per me la vivente scena del mondo” – scriverà Federico.

La Villa Reale di Monza

Dopo sei anni, il 12 febbraio del 1830 Teresa, sempre più allo stremo, scrisse una lettera commovente all’imperatore: “dall’annesso attestato vedrà V.M. come io sia colpita da una malattia sempre incurabile e sovente precipitosa. Non temo di frammischiare all’impressione dei giocondi e fervidi voti che ispira la ricorrenza del Suo giorno natalizio queste immagini di dolore. Ma alla misericordia pura di V.M. io porgo una preghiera, che mi sia concesso di terminare i miei giorni accanto a quello che la Provvidenza mi ha dato per compagno. La morte mi sarà meno dolorosa quando, veggendo il mio sposo presso il mio letto, potrò riguardare come compiuta la mia missione, che era d’impetrarne da Dio e da V.M. la liberazione.
Il 26 settembre del 1830 Teresa muore in Brianza a quarantatré anni. Federico le aveva inviato un biglietto che arrivò a destinazione dopo quattro mesi: “ricordati, ricordati anima mia che la tua conservazione è la mia vita. Pensa che tu hai dato tutta te stessa all’idolo del tuo cuore, che ora la tua conservazione è tutto ciò che egli vuole.”