Storia del Lambro e dei mulini del parco di Monza

Un fiume ricco di aneddoti e di storie. Dal Petrarca in avanti...
La sponda del Lambro a Realdino

“A piè del colle scorre il Lambro limpidissimo fiume e benché piccolo, è capace di sostenere barche di ordinaria grandezza, il quale scendendo per Monza, di qui non lungi, si scarica nel Po” così descriveva il Lambro il poeta Francesco Petrarca. Quanta vita lungo le sponde di questo fiume della Brianza che serpeggia tra le colline, attraversando un territorio ricco di storia! La città di Monza ha origine lungo questo fiume, un tempo al centro della vita quotidiana dei monzesi che, lungo le sue sponde, svolgevano molte attività. L’aver avuto la possibilità di attingere ad una fonte di irrigazione fu un grande vantaggio sia per la popolazione, sia per le numerose attività artigianali che, già dal Medio Evo, si svilupparono grazie all’utilizzo dell’energia messa a disposizione dalle pale dei mulini che utilizzarono le acque del Lambro come forza motrice.

Storia del Lambro: i divieti del Regio Governo

Si racconta che, per evitare soprusi e contenziosi scaturiti a volte dall’utilizzo copioso delle acque, vennero introdotte delle norme dietro ordine dell’Imperial Regio Governo. Il 26 luglio 1756, in vista dei molti disordini e a pregiudizio del pubblico e privato interesse di coloro che utilizzavano l’acqua del Lambro per irrigare il proprio territorio in quantità maggiore di quella prevista dai loro titoli e privilegi senza restituirla al fiume, si dispose: che non si dovessero divertire le acque del fiume, ma che si lasciassero decorrere nel suo alveo, non essendo facoltativo di usarle per adacquar prati se non dietro la dovuta licenza, privilegio o concessione regia, sotto la pena in caso di trasgressione di scudi trecento; che tutti gli utenti delle acque del Lambro non dovessero usurpare né eccedere nel godimento delle stesse acque, oltre il limite delle rispettive concessioni, minacciando i trasgressori di far chiudere loro le bocche di derivazione; che niun mugnaio né altro proprietario dei mulini esistenti sul Lambro si facesse lecito di far produrre alcun rigurgito nelle sue acque trattenendole in qualsiasi modo, dovendo gli stessi mugnai e proprietari lasciar decorrere le acque nei rispettivi scaricatoj (spazzere), obbligando quelli che non avevano gli scaricatoj a farli costruire nel termine di otto giorni dopo la pubblicazione della Grida, affinché le acque potessero defluire liberamente nell’alveo del fiume. I trasgressori dovevano essere puniti con una multa di scudi cento; che tutti quelli che avevano il diritto di tenere una bocca, un bocchello, un incastro o cavo qualunque per estrarre le acque dal fiume Lambro, e che trovassero in qualsiasi modo la bocca rotta o dissestata, dovessero tosto ripararla riducendola in istato regolare, lasciando per tale operazione il termine di un mese, decorso il quale si sarebbe fatto eseguire il lavoro d’ufficio ed a spese del renitente proprietario; che nel termine di quindici giorni dalla pubblicazione della Grida venissero otturate tutte le incanalature (scanoni) che si trovassero lungo le sponde del fiume, riparando anche a qualunque rottura, onde non succedesse alcuna distrazione di acqua, sotto la pena di farli otturare d’ufficio a spesa dei proprietari renitenti, oltre alla multa di scudi cento; che restava assolutamente vietato a chiunque di praticare alcuna chiusa attraverso del fiume, né lungo le sponde del medesimo, né costruire pendii, né ripararli qualora vi esistessero, né mettere vintinate od altri ostacoli sotto qualunque titolo di riparazione o difesa senza I’espressa licenza del Magistrato Camerale dello Stato di Milano, il quale secondo la qualità dei casi si riservava di giudicare se fosse necessaria una visita , oppure se bastasse l’assistenza del camparo per l’opportuna provvidenza, e ciò sotto la pena di scudi duecento onde cosi tutelare gli interessi degli utenti inferiori non meno che il naviglio della Martesana, nel quale vanno a scaricare le acque del Lambro; che non fosse lecito di pescare in detto fiume eccettuati quelli che ne possedevano il diritto da riconoscersi dal Magistrato Camerale; proibendosi inoltre di dar l’esca al pesce sotto le medesime pene indicate superiormente.

La prima documentazione grafica del fiume Lambro fu disegnata nel 1615 dall’ingegnere milanese Pietro Antonio Barca, mentre le testimonianze dei mulini del Lambro, lungo il cui corso erano disegnati numerosi impianti, risalgono ai documenti dell’anno mille. Fu il Brenna che, nel 1840, evidenziò nelle sue carte, la presenza di alcuni mulini da grano attorno all’attività del “Mulino Tagliabue”: fu in questo luogo che si sviluppò il complesso di cavità più noto del tempo chiamato Grotte di Realdino, famoso per l’acqua che sgorgava fresca e pura dalle pareti degli anfratti, creando suggestive forme di tufo e di muschi, stalattiti e stalagmiti che si chiudevano e formavano conche. Le locande accoglievano i tanti gitanti che raggiungevano il luogo perché “a Realdino si visita l’acqua e si beve il vino”.

Storia del Lambro: i suoi mulini

Nel Parco di Monza si trovano tre mulini ottocenteschi: il mulino San Giorgio, i Mulini Asciutti e il mulino del Cantone. Il mulino San Giorgio era di proprietà del marchese Francesco Gerolamo Cravena. Fu progettato dall’architetto Giacomo Tazzini, conserva ancora oggi la sua struttura originaria e il suo fascino. Le acque del Lambro lo facevano funzionare confluendo attraverso la Roggia Molinara e alimentando così le sei pale in legno e le macine di pietra. Anche i mulini Asciutti furono progettati dall’architetto Giacomo Tazzini, nel 1834, con i suoi ingranaggi e il portico a nord con la volta in muratura, le due sale di macina e i controlli delle chiuse. I muri perimetrali sono in laterizio a vista, con la zoccolatura in ceppo, i solai sono di legno, con i due fienili simmetrici con basamento in ceppo e copertura in tegole. Nel 1840, sempre l’architetto Giacomo Tazzini, da una struttura preesistente, primo avamposto con torre medioevale in mattoni a vista del XII secolo e dotata di merlature e di una pregevole bifora, diede vita ad un mulino di fortezza: il mulino del Cantone; è l’unico reperto che rimane dell’antica linea difensiva a protezione della città di Monza. Dal catasto Teresiano l’intero edificio risulta essere appartenuto ai conti Giacomo e Giuseppe Durini. Oggi purtroppo riversa in condizioni di abbandono.

Nel Parco Valle Lambro e lungo le rive settentrionali del fiume Lambro ci sono ben 31 antichi mulini, costruiti sulla deviazione del fiume e a testimonianza del nostro passato che meritano di essere visitati.