La scomparsa di papa Benedetto XVI è giunta come un fulmine a ciel sereno nell’ultimo giorno del 2022. Allo stesso modo, poco meno di dieci anni fa, era arrivata la notizia del suo “gran rifiuto”, che, alla stregua di un sisma di vaste proporzioni, scosse la Chiesa dalle fondamenta. Ma Ratzinger, dotto teologo e filosofo, quella comunità, la più grande al mondo, l’aveva già scossa diverse altre volte, con la forza e la finezza del suo pensiero. Un pensiero che in più occasioni si era fatto scudo contro l’avanzare di un relativismo culturale ed etico di cui oggi si intravedono, giorno dopo giorno in misura sempre maggiore, gli effetti più nefasti e che lui stesso, nei suoi interventi, aveva definito come una «dittatura che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie» e che «sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”».
Parole che, riascoltate oggi, in un’era di diffusa atomizzazione sociale, potrebbero suonare come cupamente profetiche anche a un non credente. D’altronde gli scritti e i discorsi del pontefice tedesco sono sempre stati questo: lame taglienti, pronte ad affondare nelle coscienze di ognuno. Non per ferirle, ma per ridestarle a una luce più grande.