Disoccupati e depressi (perché senza scopo): dove sta andando la società della tecnica?

Il sociologo Fabrizio Fratus riflette sui mutamenti sociali in atto.
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Ci avviamo sempre più verso una società senza lavoro manuale, le macchine sostituiscono l’uomo nelle fabbriche, la tecnologia accelera il processi di lavoro negli uffici diminuendo le persone occupate. Il senso della vita e il lavoro sono due aspetti che vanno di pari passo nel procedere dell’esistenza; se infatti per sopravvivere vi è la necessità di lavorare è anche vero che il lavoro riempie le giornate spesso vuote. Mi alzo la mattina, e qual è il motivo per cui lo faccio? Il mal di vivere (depressione) galoppa a pieno ritmo nella nostra società.

In generale, le persone istintivamente colgono la necessità di avere un’utilità e – spesso e volentieri senza lavoro – si ritrovano prive di scopo. Il lavoro moderno è un’attività devastante dove quasi tutti sono intercambiabili. Un avvocato è normalmente sostituibile con un altro e il suo lavoro non è nulla se non quello di riprodurre quanto altri avvocati fanno ogni giorno. Lo stesso vale per un commercialista come per un operaio. Il lavoro non ha più la componente soggettiva, non è più indicativo dell’identità di una persona. Se in passato essere un avvocato collocava in un ceto sociale specifico, con un’educazione e un modo di rapportarsi agli altri. Il lavoro, quindi, non è più una componente che contribuisce a dare sicurezza emotiva e psicologica, ma resta solo un mezzo per ottenere denaro in cambio di tempo.

Lavoro e tempo sono aspetti importantissimi per tutta la durata del ciclo vitale di una persona. Se si considera l’aumento di servizi e di beni con la diminuzione del lavoro umano molti credono si vada verso la liberazione della “fatica”. Nei paesi sviluppati tecnologicamente il lavoro è diviso in tre diverse funzioni ripartite in: creativo, esecutivo, di fatica. Il lavoro è un privilegio perché ancora oggi fa rientrare coloro che lo hanno tra coloro che producono e quindi hanno maggiore possibilità di consumare. Ma la forza lavoro da impiegare diminuisce col progredire della tecnica, aumentando quindi una massa di disoccupati con tantissimo tempo da impiegare, che vedono un costatante aumento di persone colpite da depressione e solitudine.

Il lavoro nella società post industriale viene a diminuire sempre più e con esso la possibilità di avere un reddito: meno lavoro, maggiore tempo a disposizione, meno soldi a disposizione e minore capacità di dare un senso alla propria esistenza. Se in un passato, non troppo lontano, il lavoro poteva essere una fatica fisica di difficile sopportazione aveva però una importanza sociale imponente: si era disposti a lavorare perché si avevano dei figli, si doveva mantenere una famiglia e ciò dava un senso e un capacità di sopportazione della fatica. La mansione svolta, inoltre, rappresentava anche l’identità sociale e chi era collocato alla base della piramide aveva l’aspirazione legittima e sensata di salire verso l’alto; l’avvento dell’eguaglianza come la distruzione delle classi ha livellato al ribasso producendo danni incalcolabili.

L’inciviltà come la maleducazione sono divenuti comportamenti comuni, quanto l’irresponsabilità: invece di migliorarsi, ci si livella sempre più nella mediocrità. Se prima vi era una ingiustizia sociale riferibile alla redistribuzione della ricchezza ma vi era un maggiore senso di appartenenza a un sistema come a una comunità, oggi al contrario vi è, per chi lavora, una maggiore disponibilità di consumare prodotti (per lo più inutili), ma allo stesso tempo un sempre maggiore senso di inadeguatezza. La questione si è complicata con le restrizioni per il Covid-19, aumentando progressivamente difficoltà economiche e danni come minore inclusione sociale, isolamento affettivo, timori per salute e futuro.

La crescita di queste problematiche porterà allo sviluppo di un reddito sociale necessario alla popolazione come a mantenere i consumi alti. Tra il 2020 e il 2022 in Italia si sono persi quasi un milione di posti di lavoro, nonostante per un lungo periodo ci fosse il blocco dei licenziamenti. Mentre continua la vaccinazione di massa non si intravedono politiche per il contenimento dei disagi sociali, tutto passa per il sostegno passivo senza nessun tipo di soluzione strutturale che dia una barlume di speranza nel futuro. La “paura” del futuro crea frustrazione e, senza lavoro, vi è un costante aumento della depressione tra le persone.. Nella nostra società, basata su produzione e consumo, non vi è, evidentemente, una visione organica dei processi economici come per quelli sociali. Purtroppo.