L’Autodromo nazionale di Monza compie, quest’anno, il suo centenario dalla nascita. Per la sua realizzazione e gestione fu costituita, presso l’Automobile Club di Milano, la Società Incremento Automobilismo e Sport (S.I.A.S.) presieduta dal senatore Silvio Crespi. Il tracciato fu realizzato in soli 110 giorni, su progetto dell’architetto Alfredo Rosselli; è fra i più antichi al mondo e si trova nel parco di Monza, in uno dei luoghi naturalistici più affascinanti sia per l’antica vegetazione, sia per la storia millenaria che custodisce. In principio i lavori furono sospesi per motivi di “valore artistico, monumentale e di conservazione del paesaggio”, ma le polemiche che si susseguirono non impedirono la nascita del circuito monzese che fu realizzato con le stesse caratteristiche previste in origine, ma con una riduzione di 10 chilometri. Gli operai coinvolti furono 3500, 200 i carri, 30 autocarri e una ferrovia di 5 chilometri con 2 locomotori e 80 vagoni. L’apertura ufficiale dell’impianto avvenne il 3 settembre 1922 in una giornata di pioggia e alla presenza del presidente del Consiglio Facta. Venne disputata una gara vinta da Pietro Bordino su una Fiat 501 modello corsa. Da allora, tanti sono stati i piloti che hanno reso celebre nel mondo l’autodromo di Monza: da Juan Manuel Fangio e Alberto Ascari a Michael Schumacher, da Enzo Ferrari, Niki Lauda e Ayrton Senna, fino a Lewis Hamilton. Negli anni venti, con la costruzione dell’Autodromo e poi ancora del Golf, il paesaggio viene modificato e per la gran parte non sarà più riconducibile all’aspetto originario.
E’ bene ricordare che questo circuito più famoso al mondo fu costruito nel Bosco Bello di Monza, detto anche Selva dei Gavanti, un luogo maestoso, con delle vedute mozzafiato: “tutti i nazionali e gli stranieri visitatori del Parco Monzese ammirano il Bosco Bello; e in nessun altro parco sì d’Italia, che d’oltremonte asseriscono aver giammai incontrato una selva si maestosa con una serie di viste si sorprendenti. Crescono assai i pregi di questo bosco, per chi sappia che sino dal secolo XIV egli godeva di storica fama…dalle aperture del Bosco si coglieva interamente il paesaggio sino alle lontane montagne…è d’uopo confessare che è difficile rinvenire un pezzo di consimile visuale, un sì sorprendente panorama, e tutto ciò in mezzo ad un’annosa romantica selva” (Mezzotti). In questo Paradiso di natura venne costruita una cappella dedicata a “Nostra Signora del soccorso “dove ogni anno il 15 di agosto, si svolgeva una festa… vi si aggiunse una fiera di galanterie e di manifatture di que’ tempi… che fu frequentatissima… presso gli abitatori delle rive del Lambro”. Si mangiava fino a notte inoltrata fra grandi balli e tanto divertimento: secondo il Mezzotti fu per questo che la Selva prese il nome di Bosco Bello. Questo antico luogo fu anche scenario di battaglie fra le famiglie che lo abitarono e preda, poi, degli spagnoli che lo occuparono e ne impedirono lo sviluppo e l’economia. Durante il dominio degli spagnoli si racconta che: “dominarono l’ignoranza, la superbia e l’errore”; poi divenne “ricetto dei folletti e della matta tapina di cui havvi tradizione che solesse recarsi in Monza di notte tempo a scorrere le contrade col così detto carro matto a spargere la superstizione e il terrore.” Come non ricordare la tragica storia dei due giovani innamorati del Bosco Bello? Ce la raccontano Ignazio Cantù e Mezzotti: “Rosa de Peregalli invaghì di sua beltà Gian Guidotto de’ Lesmi. La corrispondenza fu da principio furtiva, clandestino il matrimonio… ma avvenne improvvisamente la morte di Rosa, non senza sospetto di veleno, e Guidotto qualche tempo dopo si rinvenne pugnalato nel Bosco Bello… L’urna sepolcrale degli infelici amanti esisteva ancora nel secolo scorso con una lapide latina che ne rammentava la dolorosa tragica fine…. una Rosa Peregalli da Peregallo presa d’amore per Gian Guidotto dà Lesmi che non potendo, per le discordie civili onde si cercavano sempre a morte le loro famiglie, appagare il voto ardente del suo cuore, ricorse ad un frate che viveva eremita a S. Maria delle Selve. Da lui gli amanti ebbero benedetto il loro voto ed ottenendo che il buon eremita riducesse la pace fra le discordie municipali. Brevissima gioia. Non andò molto che Rosa morì, non senza gravi sospetti di veleno, e Guidotto fu trovato morto con una larga ferita nel petto”.
L’Autodromo di Monza, il Bosco Bello e quei passaggi a cavallo
Col tempo il disegno planimetrico del luogo di natura fu modificato per consentire il passaggio in carrozzella e a cavallo, offrendo: “profonde visuali e cannocchiali panoramici al fondo dei viali che si dipartono da un grande Rondò, dove il Bosco diventa della Stella”. Oggi ci restano le testimonianze di chi ha saputo descrivere la magnificenza del Bosco Bello, restituendoci un’immagine di bellezza e di armonia con i suoi viali percorribili lungo 4 miglia dove la natura incontaminata era meta di tanti viaggiatori: “suole il forestiere divertente recarsi al Bosco Bello prendendo, quando il sole è basso, il vialone detto anche il viale dei noci. Nell’andata è da osservarsi la Fagianaja che è di figura elittica e viene chiamata ungherese per distinguerla dalle italiane di cui favelleremo più avanti. In questo tratto d’amena strada osservansi pure molti grandiosi viali dei quali trovasi compartito il Parco; alcuni sono fiancheggiati da ambiziosi platani, ed altri da fruttiferi gelsi. Il Bosco Bello fa capo al maggiore di questi viali che attraversa il recinto reale da mezzo giorno a levante per la lunghezza di 4 miglia, ed alla sua estremità forma un’area circolare, a cui mettono otto alti viali. Qui potrebbero farsi, volendo, di bellissime corse di cavalli. Dal centro del Bosco bello da ciascheduno dei suindicati otto viali, si distingue alla portata d’occhio, a levante il serraglio dei cervi, ed una vaga collina – fra levante e mezzodì il campanile di Omate; a mezzodì Monza; fra mezzodì e ponente la nuova scuderia che ha le sembianze di un antico tempio. A tramontana il palazzo del conte Mellerio che sta sul colle di Gergnetto. Fra tramontana e levante il fabbricato di Boffalora. E’ d’uopo confessare che è difficile rinvenire un pezzo di così simile visuale e tutto ciò in mezzo ad un’annosa romantica selva, ove il pensiero di una quiete solitudine, lungi dai rumori aulici, e quello di una vita pressocchè eremitica elevano la mente verso il cielo e ricordano i bei versi del cantor di Luna: Qui non palazzi, non teatri o loggie/ ma in lov vece un abete, un faggio, un pino/ tra l’erba verde e ‘l bel monte vicino/levan di terre al ciel nostro intelletto.”