Fabio Deotto e il “Condominio R39” «La vita è compromessi? Idiozie»

Romanzo d'esordio per lo scrittore vimercatese Fabio Deotto: si intitola “Condominio R39” ed è un giallo dalle forti tinte noir. In libreria da martedì 4 febbraio per Einaudi Stile libero. «Mi sento ripetere da sempre che la vita è fatta di compromessi. Ho sempre pensato sia un’idiozia».
Fabio Deotto, autore di “Condominio R39”
Fabio Deotto, autore di “Condominio R39”

«Un vecchio biologo infermo ossessionato dalla decomposizione. Una giovane che lavora in un night club e il suo fidanzato, dediti a pratiche erotico-esoteriche. Un’ex attrice di grandi speranze la cui mente è ora preda di fantasmi. Un ragazzino di dieci anni oppresso dall’affetto morboso della madre. Sono gli inquilini di una palazzina di Milano dove si consuma un atto violento e all’apparenza inspiegabile. Delle indagini è incaricato un commissario dal passato oscuro e dal presente tormentato. La realtà prende forma un tassello alla volta, in un’atmosfera che si fa sempre più tesa, fino a comporre un mosaico gotico che costringe i protagonisti a fare i conti con ciò che davvero sono». Si presenta così il romanzo d’esordio di Fabio Deotto, trentenne vimercatese in libreria da martedì con “Condominio R39”, pubblicato da Einaudi Stile libero (444 pagine, 19.50 euro). Un giallo a tinte noir che non si accontenta di rinfrescare le categorie di genere. Nel testo e nel contesto (la recensione del libro sul Cittadino in edicola giovedì 6 febbraio).

La chiave di lettura del romanzo la dà un biologo che ha sfiorato il Nobel e che legge il cambiamento sociale con un’analisi lucida. E la società ne esce malino. Tant’è vero che lui lascia messaggi sotto formaldeide, così che possano sopravvivergli. Siamo messi così male?

Sì e no. Sì, perché abbiamo sempre di più la tendenza a dare troppe cose per scontate. In particolare, mi pare che abbiamo sempre meno voglia di mettere in discussione quello che ci viene presentato come verità, accettiamo quasi tutto come inevitabile, non ci preoccupiamo di controllare le fonti delle notizie e coviamo la consolante convinzione che, anche volendo, non potremmo migliorare più di tanto la nostra situazione. Parlo di quella politica come di vita personale. Però è anche vero che lo sguardo di Pierfranco rappresenta un punto di vista estremo, totalmente privo di grigi, lui suddivide il mondo in due tipi di persone, quelle che si accontentano e quelle che mettono quotidianamente in dubbio lo status quo. Nella realtà, questa divisione non è così netta. Perciò la risposta è anche no, non siamo messi così male. Ancora.

Quello che lui analizza è rappresentato abbastanza fedelmente dal condominio: quelle singole vite, che sono traiettorie soprattutto individuali, sono la risultante della controevoluzione sociale di cui parla il biologo?

La controevoluzione che Pierfranco tratteggia nel libro è solo una tendenza, una strada che non è ancora arrivata al suo termine. Ogni personaggio si trova a un punto diverso di questo percorso: c’è la figura del bambino, del giovane adulto, del quarantenne e dell’anziano. Ognuno di loro presenta aspetti di questa tendenza che in parte sono legati al personaggio in sé, in parte sono connaturati alla sua età. Tutti i personaggi si trovano a fare i conti con il concetto di libertà, ognuno di loro si trova a desiderare un tipo di libertà diverso, ma quasi tutti in realtà concepiscono la libertà come qualcosa di privato e non condivisibile, un percorso egoista ed egocentrico che, alla fine, nel romanzo, porta di fatto a un’autoreclusione nel proprio appartamento. L’unico che si sottrae a questo inganno è Nicolò, un bambino, che parte in una condizione di reclusione peggiore degli altri personaggi e finisce per conquistare, grazie alla sua interazione con gli altri e a suo rischio e pericolo, una libertà autentica.

Lui stacca anche il citofono. Sceglie di chiudere i ponti. Al contrario Nicolò reagisce all’isolamento. E cerca un alleato nel suo peggior nemico. L’età dell’innocenza è diventata l’età della coscienza?

Nel romanzo non esistono personaggi adulti interamente buoni. La bontà è prerogativa dei bambini, ma si tratta di una bontà tutt’altro che angelica. I bambini possono dire e fare cattiverie, ma spesso si tratta di un riflesso delle frustrazioni dei genitori. Pensare che maturare equivalga a raggiungere un grado organico di cinismo non è solo stupido, ma anche pericoloso. Se tanti bambini promettenti finiscono per diventare carogne, la colpa è anche di questa tendenza a confondere la disillusione con la maturità. Per tornare al punto della domanda, la questione morale è centrale secondo me. Nicolò è l’unico personaggio capace di mettere in discussione le sue certezze e i suoi preconcetti per decidere in autonomia cosa sia giusto e cosa sbagliato, e non a caso avrà un ruolo fondamentale nella risoluzione della vicenda.

Nicolò sembra ancora lontano da quel modello umano che non sente più nemmeno il peso della colpa – è come Pallino, non è come Frascati: vuol dire che anche in R39 (il bagno di cultura dell’evoluzione) si possono generare anticorpi?

In un punto del libro, parlando con Nicolò, Pierfranco lo metterà in guardia da ogni tipo di tutela, perché la tutela (sia essa statale, parentale o accademica) è il primo nemico dell’evoluzione. Questo concetto trova una dimensione concreta nella figura della madre di Nicolò, che rappresenta una tutela totalizzante e soffocante. Ha così paura che Nicolò possa rimanere ferito dallo scontro con la realtà che lo tiene sotto una campana di vetro, rendendolo in ultima analisi più vulnerabile. Il personaggio del professore opera in senso opposto, convincendo il ragazzo che le uniche verità utili nella vita sono quelle che si disseppelliscono da sé. Nicolò si trova a un bivio, potrebbe diventare una specie di “gallina bravissima a fare uova a comando e a illudersi di non avere le ali” o accettare lo sconforto e i rischi legati a una vita priva di binari, e quindi genuinamente libera.

Il mondo degli adulti sembra fatto invece di persone che sono costrette a raccogliere la vita per pezzi. E solo quando la mani sono piene, potranno tirarne le somme. Insomma: bisogna sapere aspettare. E chi lo fa, finisce per trovare la soluzione. È così?

Ho perso il conto delle volte che mi sono sentito dire che la vita adulta è fatta di compromessi. Ho sempre pensato che fosse un’idiozia. Si parla di compromessi, di perdita dell’innocenza, di maturazione, come se fossero cose che accadono da sé, come se la progressiva perdita del candore fosse qualcosa di fisiologico. È un modo di pensare molto cinico. In realtà non è vero che i compromessi ci sono e bisogna dunque accettarli, i compromessi si fanno; l’innocenza si smarrisce per strada ma si può anche tener stretta, è solo questione di scelte. Credo sia questo il nocciolo del discorso. È vero, le disgrazie esistono, come esistono le ingiustizie, ma molte delle cose che non vanno nella società descritta dal romanzo sono frutto di scelte non prese, di rinunce a priori. Per rispondere alla tua domanda: no, aspettare non basta. Bisogna buttarsi, avere il coraggio di mettere a repentaglio le piccole sicurezze quotidiane che ci fanno addormentare sereni, altrimenti si rischia di aspettare per sempre. Dopotutto, il titolo di lavorazione del romanzo era “chi si accontenta muore”.