Tutto è partito da un banale litigio con un (probabile) cliente, ma dalle impronte digitali i poliziotti del commissariato di viale Romagna, a Monza, guidati dal vice questore Angelo Re, hanno scoperto che una prostituta nigeriana, al lavoro lungo viale Lombardia, a Monza, dopo aver usufruito della possibilità del rimpatrio per evitare il carcere, condannata per reati legati agli stupefacenti, a Brescia, era dopo poco rientrata in Italia su un barcone e aveva richiesto protezione internazionale.
A far scattare i controlli è stata una telefonata avvenuta attorno alle 23 alla centrale operativa. Un uomo, un 66enne comasco, ha raccontato di essere stato aggredito dalla donna per non meglio precisati motivi: «Mi trovo qui per caso, mi ha malmenato e ha danneggiato la macchina a sassate» ha detto. Una volante si è precipitata sul posto e, dopo pochi minuti, in base alla descrizione fornita dall’uomo, la pattuglia ha rintracciato la “lucciola”, una nigeriana trentenne.
Portata in commissariato e fotosegnalata, le sue impronte sono risultate già censite. Ad aprile del 2010 era stata espulsa dal prefetto di Brescia, una pena alternativa alla detenzione dopo che era stata pizzicata a importare della droga nascosta in alcuni ovuli. Rimpatriata, di lì a poco è rientrata in Italia su un barcone di quelli utilizzati per i viaggi della speranza dai migranti in fuga da guerre e persecuzioni (ma non era evidentemente il suo caso). Arrivata a Bergamo ha chiesto la protezione internazionale con lo status di rifugiata e, prima che le autorità scoprissero che era già stata condannata, e che quindi non ne aveva diritto, è scomparsa.
Per ricomparire a Monza, sui marciapiedi di viale Lombardia. Ora si trova in carcere, a Monza, dove, oltre alla detenzione per aver violato la pena alternativa dovrà scontare quasi due anni di pena residua per la vicenda degli stupefacenti.