L’infettivologo Galli a Radio 24: «O collaboriamo tutti o sarà un lungo e doloroso cammino»

Intervista a Obiettivo Salute: «C’è una grande confusione che mi preoccupa. Occorre fissare degli obiettivi chiari e perseguirli, essere più drastici per gli spostamenti non necessari e, anche all’esterno, mantenere una distanza di sicurezza»
L’infettivologo Massimo Galli
L’infettivologo Massimo Galli

«C’è una grande confusione che mi preoccupa, occorre fissare degli obiettivi chiari e perseguirli. Per un difetto di comunicazione gli esodi in treno non hanno certo fatto bene per evitare che altre parti d’Italia fossero preservate dal virus». L’infettivologo Massimo Galli, professore ordinario del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’ospedale “L. Sacco” di Milano e Past President della Simit, Società Italiana di Malattie infettive e tropicali, intervistato da Nicoletta Carbone in Obiettivo Salute su Radio 24, lunedì 9 marzo, ha fatto il punto della situazione Coronavirus partendo dalla chiusura della zona che comprende la Lombardia e altre 14 province.

«Almeno che sia chiaro e definito cosa dobbiamo fare nell’ambito delle zone più interessate dall’infezione – ha detto l’esperto – Posizioni del tipo riapriamo zona rossa di Lodi non hanno senso compiuto se non è terminata l’indagine epidemiologica. Si rischia di vanificare quanto fin qui fatto perché si apre troppo presto».

Quali precauzioni è necessario prendere per gli spostamenti quotidiani? «Occorre essere molto più drastici per gli spostamenti non necessari e chiudere almeno parzialmente i locali pubblici. Anche all’esterno conviene mantenere una distanza di sicurezza». «Ai figli va trasmesso un messaggio chiaro – ha proseguito Galli su Radio 24 – Che siamo in un momento difficile che ci costringe a cambiare le nostre abitudini. Per far sì che sia il più breve possibile – e breve non sarà – o c’è la collaborazione di tutti o francamente non vedo una via d’uscita che non sia un lungo e doloroso cammino».

Un ultimo accenno all’utilizzo delle mascherine. «Fondamentalmente le deve utilizzare il malato, chi assiste persone affette dal virus, la persona in costante contatto con il pubblico per motivi lavorativi e che mentre lavora non può stare alla distanza minima di sicurezza».