Lissone e la Brianza lunedì mattina hanno salutato Giannantonio Brugola, l’industriale conosciuto in tutto il mondo per la vite che porta il suo nome. Uno dei momenti più intensi della cerimonia è stato il ricordo tributato dal figlio Jody, Egidio come il nonno. Ecco le sue parole.
“Ciao papà,
In questo giorno strano, in cui la tua assenza è la presenza più importante, in cui il dolore mi ha investito come una botta sorda, senza parole, io trovo quelle da dirti. Trovo il tempo di un sorriso, amaro, nel pensare che forse saresti orgoglioso, di vederci tutti qui, a ricordarti e a celebrare la tua partenza, ma soprattutto sorrido dell’ironia della vita, che nella morte restituisce la dimensione più vera, l’essenza, a tutte le cose.
Per questo oggi, ti chiamo papà e penso papà. Non uso la parola padre, quella che ho sempre scelto pensando a te, perché soltanto negli ultimi giorni la malattia e la fragilità mi hanno mostrato una parte che e’ sempre stata nascosta dal tuo essere un maestro rigoroso, talvolta severo, spesso inflessibile. Soltanto adesso che non ci sei, riesco a vedere l’amore tenero dentro il tuo sguardo azzurro, quello che non sei mai riuscito a dirmi a parole, ma che non mi hai mai fatto mancare. Lo stesso amore che anche io, a mia volta, ho soffocato spesso in gola, nella rabbia di sentirmi incompreso. Oggi di quegli inutili orpelli non è rimasto più nulla: né la durezza delle tue parole, né la mia rabbia più cieca. Oggi resta solo l’amore.
Voglio dirti grazie, per avermi insegnato la vita. Per essere stato un esempio, ogni giorno, nel farmi capire quanto sia importante guardare più in là del proprio naso e allenare la mente e il cuore a pensare in grande. Tu, che quando hai perso il tuo di papà eri un adolescente: ora è il mio turno e solo ora riesco a capire la sofferenza che devi aver provato, il senso profondo di quelle parole: “Ringrazia di avere un padre. Io l’ho perso giovanissimo, non sai cosa vuol dire”. Ma tu sei riuscito a trasformare la violenza di quella perdita in una visione e a declinare i tuoi sogni, che erano altri.
Già, volevi disegnare le automobili, ma davanti alle responsabilità dell’azienda che il nonno ti ha lasciato, sei diventato adulto di colpo a sedici anni. Così, non potendo realizzare la loro forma, hai contribuito a realizzarne il cuore: ora il motore di decine di milioni di automobili batte anche grazie a te. Sei stato un pioniere grintoso, spesso a tua volta incompreso, perché la tua testa andava più veloce dei tempi: con costanza e impegno hai saputo lo stesso portare avanti i tuoi progetti, far crescere il nome della nostra azienda e renderlo conosciuto in tutto il mondo. So quanto sei fiero di essere un italiano che ha reso prestigio all’Italia, lo sa chi vede sventolare i tricolori in azienda, chi legge il nostro motto “spirit of excellence”, lo spirito di un’eccellenza che per te era stimolo e meta al tempo stesso. Non solo il nome, non solo l’azienda: hai fatto crescere persone, che oggi sono qui per ringraziarti, perché riconoscono il valore di ciò che gli hai trasmesso. A loro hai chiesto sempre il massimo, senza però essere il capo vile, che si nasconde dietro questa regola, perché il massimo lo hai preteso sempre anche da te stesso. Ed è per questo che tutti ti hanno voluto bene.
Ma hai anche saputo dare tanto, come solo un grande egocentrico può fare. Sì, perché l’altra faccia della medaglia dell’egocentrismo, nella migliore delle ipotesi, è una generosità di pari livello. E tu, papà, sei stato un uomo generoso e capace di intime e insospettate umiltà. Mi ricordo un giorno d’estate, dei miei sette, otto anni, in macchina in giro per Lissone insieme a te. Mi ricordo dei ragazzini che giocavano a palla in strada e la tua voce che diceva: “Vedi micio, questi bambini non possono andare altrove a fare le vacanze. Non importa come ti chiami o quanti soldi hai: bisogna aver sempre rispetto per le persone. Per tutte le persone”. E mi ricordo New York per i miei 18 anni, il primo vero viaggio, tra piacere e lavoro in cui mi hai portato, forse perché volevi essere tu a darmi l’America. Una sera, poco prima di dormire, mentre recito le preghiere ti sento dire sommesso: “Sei davvero un bravo ragazzo, perché stai pregando”
Sono frammenti di memoria per me indelebili, che mi aiutano a disegnare i contorni della tua anima, adesso che non hai più un corpo. Sono momenti preziosi, dentro la valigia che mi lasci sulla strada della vita, che contiene il tuo insegnamento più importante: l’onesta’. Quella che hai sempre avuto. Quella a cui, grazie al tuo esempio, non saprò mai rinunciare. Papà, se chiudo gli occhi in questo istante volo lontano da qui, da questa chiesa e approdo ad una calda sera d’estate in cui io, te e la mamma eravamo insieme. Era una notte di musica e festa, sotto il cielo della Sardegna. Ballavamo in cerchio una danza tradizionale, che nessuno di noi tre conosceva. Ti vedo ancora, come fosse adesso, metterti al centro di quel cerchio e ballare su passi inventati, in un modo buffo e improvvisato, con quell’ironia che ha conquistato tutti i presenti e allargato la loro bocca al sorriso.
Papà, quando sto in silenzio mi sembra ancora di sentire la tua voce dirmi: “In azienda, sul lavoro, tu sarai più bravo di me”. E stringo le labbra, combattuto, perché se da un lato queste parole rappresentano il riconoscimento che ho inseguito per tutta la vita, dall’altro, forse, ti hanno tolto qualcosa. Qualcosa che mai vorrei togliere, ma solo aggiungere, al grande uomo che sei stato.
E al grande papà che per me ora sei.
Ciao papà, ti voglio bene.
Jodi”