Centrafrica, le due desiane rapite: «Siamo ancora vive, è un miracolo»

Finite nelle mani dei ribelli, in Centrafica: “Siamo vive per miracolo”. Stefania Figini, che si occupa della scuola per l’infanzia di Bouar, è appena rientrata a Desio. Ma laggiù con la mamma e una suora ha rischiato la vita.
La desiana Stefania Figini, sequestrata in Centrafrica
La desiana Stefania Figini, sequestrata in Centrafrica

Stefania Figini, che si occupa della splendida scuola per l’infanzia di Bouar (Repubblica Centrafricana), è appena rientrata a Desio con la mamma, senza un graffio. Laggiù con la mamma e con una suora ha però rischiato la vita. Con la modestia di una donna coraggiosa e intelligente ha definito un’esperienza intensa i fatti che le sono accaduti l’8 aprile scorso. Il 24 marzo scorso nella Repubblica Centrafricana c’è stato un colpo di stato, sembrerebbe appoggiato dalla Francia, che ha portato al potere Michel Djotodia, ex funzionario e diplomatico. Il vecchio presidente Francois Bozizé si è rifugiato in Camerun.

E’ Stefania che scrive: “La coalizione Seleka, formata da tre fronti ribelli, è intervenuta militarmente saccheggiando molte città e commettendo omicidi. La capitale Bangui è rimasta per giorni senza elettricità, senza acqua e l’intero Paese senza radio e TV. Moltissimi i morti lasciati nelle strade. Per una settimana è stato impossibile capire cosa stesse succedendo”. Il tutto in un Paese tra i più poveri del mondo dove il 60% della popolazione vive con 1,25 dollari il giorno, con il 52% di analfabetismo, una speranza di vita di 48 anni e una mortalità infantile dell’82 per mille.

La fortuna, ma nello stesso tempo la dannazione di questa nazione, è la ricchezza del sottosuolo: oro, uranio, coltivazioni di caffè e cacao, ma solo per l’esportazione. Lunedì, 8 aprile, Stefania con la mamma decide di lasciare la sua scuola di Bouar e di ritornare in Italia. Il viaggio in automobile per giungere nella capitale è di 480 km. A bordo Stefania, la mamma e una suora carmelitana; alla guida Alì, un giovane centrafricano musulmano, bravissimo. A Bossentelé, dopo un paio d’ore di viaggio, alcuni ribelli fermano l’automobile, con i mitra spianati, minacciano di morte e chiedono agli occupanti di abbandonare bagagli e mezzo e di proseguire a piedi.

“L’istinto di sopravvivenza – racconta Stefania – mi ha portato a parlare, nella loro lingua sango, con il capo (capitano o colonnello) per instaurare un dialogo. La situazione era difficilissima: innanzitutto come donna, come cristiana (la maggior parte del fronte dei ribelli è filoislamico, in parte moderato e in parte integralista) e poi come straniera. Il colore della pelle era ciò che urtava di più la trentina di militari africani, in quanto retaggio di quel dannato occidente”. Con grande coraggio e diplomazia, Stefania riesce a raggiungere con il capo una mediazione: l’automobile con guida Alì, scortata davanti e dietro, rimorchierà un automezzo dei ribelli in panne, stracarico di armi, fino alla loro base di Bossembelé. In sette ore, dalle 9 alle 16, si percorrono 155 km.

Innumerevoli le fermate quasi sempre seguite da minacce di morte. Le tre donne invocano la Madonna di Loreto. Giunti alla loro base, Stefania prosegue nelle sue suppliche di lasciarle libere. Sono attimi di panico, di terrore. I ribelli discutono animatamente tra di loro il da farsi. Poi il capo la informa che la di lei automobile potrà proseguire liberamente. Subito dopo un ribelle si avvicina minaccioso e tira col mitra una sventagliata sulla catena di traino, liberando l¿automobile che riparte immediatamente per Bangui. Le tre donne e l¿autista sono salve. A bordo il pianto di gioia e il grazie per lo scampato pericolo alla Madonna di Loreto.

“La nostra angoscia non sarebbe finita lì. Giunti alla periferia della capitale Bangui, per le strade civili uccisi dappertutto per razzie, vendette trasversali e liti omicide. Non è stato facile raggiungere l’aeroporto, controllato e protetto dall’esercito francese e partire per Parigi. Alla fine ce l’abbiamo fatta. Ho voluto raccontare questa esperienza, conclusasi miracolosamente senza vittime, per ricordare che sono ancora molti i missionari religiosi e laici della Lombardia presenti in terra centrafricana (fra Angelo Sala di Desio, padre Tiziano Pozzi, medico di Lissone, le suore infermiere di San Carlo di Vedano, tutta la comunità dei padri betharramiti della Valtellina) che ogni giorno offrono la loro vita a fianco dei più deboli”. Prima di finire, Stefania ricorda il banco di beneficenza del 27 e il 28 aprile, in piazza Conciliazione, a favore dell’Associazione Talità Kum che sostiene il suo apostolato laico in terra africana.