I difficili temi del dolore, della malattia e della morte sono racchiusi in un libro di 180 pagine scritto a quattro mani da don Francesco Scanziani e dalla psicologa Cecilia Perrone dal titolo “Vorrei starti vicino”, edizioni Ancora Milano.
Don Scanziani, 54 anni, laurea in teologia, docente del quadriennio teologico al seminario di Venegono Inferiore (1998) con specializzazione alla Gregoriana; professore straordinario della sezione parallela della facoltà teologica dell’Italia settentrionale dal 2016, e anche vice direttore. È nato a Besana Brianza il 27 febbraio 1968 e ordinato sacerdote il 12 giugno 1993, in Duomo a Milano per mano del cardinal Carlo Maria Martini. È un esperto di pastorale familiare. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni e anche in coppia con Cecilia Perrone sposata con tre figli, laureata in psicologia all’università di Torino e specializzata in psicoterapia sistemico-relazione al centro milanese di terapia della famiglia. Svolge attività clinica con i minori e le famiglie, si occupa di psicologia scolastica.
I due si sono interrogati su “cosa genera la sofferenza in un bambino, in un ragazzo o in un adolescente? Come stare loro accanto nella dura stagione della malattia? È possibile affrontare la morte, con parole di speranza?”.
Il libro tocca con mano le dolorose esperienze del limite, ascoltando emozioni che nascono nei ragazzi, senza pessimismo. Hanno aggiunto: “Nemmeno a Dio piace la sofferenza. Gesù sapeva piangere e arrabbiarsi, si prendeva cura dei malati e ha resuscitato Lazzaro. Egli stesso è passato attraverso la sofferenza e al morte, vincendola con la Resurrezione”. È con queste premesse di vita per tutti e la certezza che la croce è solo “collocazione provvisoria” che è nato questo libro.
“Un libro nato dalla conoscenza e dalla stima reciproca – hanno spiegato – maturata nell’esperienza parrocchiale e affinata dal lavoro comune nell’equipe dei coniugi Mariateresa Zattoni e Gilberto Gillini, pedagogisti lecchesi, noti per un approccio sistematico, ma anche dalla ricchezza di uno sguardo che unisse il taglia femminile a quello maschile, lo sguardo di una donna, moglie e madre confrontato con quello di un prete, la competenza psicologica e quella teologica. È uno stile che aiuta entrambi a crescere, arricchente per le proprie ricerche, ma anche uno stimolante stile di chiesa. Un esercizio iniziato una decina di anni addietro con il nostro primo lavoro “I figli ci parlano di Dio”, mentre quest’ultima opera è nata dalle domande, spesso tacitate delle persone che incontriamo di fronte al dolore della morte e al dramma della sofferenza, accentuate in modo unico con l’esplosione della pandemia. Il desiderio non è dare soluzioni, ma accompagnare con rispetto le persone”.
La società contemporanea tende il più possibile ad evitare temi come la sofferenza e il dolore, perché?
“Rimuove il confronto con questi argomenti perché li ostenta – ha risposto don Scanziani – in questo modo la nostra cultura, che si vanta di aver superato tabù ancestrali, ne ha creato uno insuperabile. La paura della morte. Succede sempre di più anche in famiglia, certamente nel sincero desiderio di proteggere i figli. Il rischio, però, è che i figli si troveranno soli e impreparati, quando sofferenza e morte busseranno inevitabilmente alla loro porta”.
Che consigli offrite a tal proposito ai genitori? “La sofferenza fa parte della vita, la morte è l’altra faccia della vita. La nostra cultura esorcizza e allontana questi temi, poiché sembrano il fallimento della medicina o della tecnologia. È’ importante educare al tema del limite. È un discorso realista, non pessimista. Occorre avvicinarsi a chi soffre entrando in colloquio diretto con lui, oppure accompagnando chi è più piccolo per avvicinarlo gradualmente alla malattia con verità rassicuranti”.
E da ultimo: come si pone la fede di fronte alle pagine dolorose della vita? “ Il cristiano non ha soluzioni da offrire – ha concluso don Scanziani – tanto meno parole consolanti che pretendono di rispondere ai “perché” drammatici della vita. Ha solo una storia da narrare quella di Gesù. Come scriveva il francese Paul Claudel: Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, è venuto a riempirla della sua presenza”.