Monza, la Brianza e la Madama Butterfly nelle lettere di Giacomo Puccini

Il 7 dicembre la “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini apre la stagione del Teatro alla Scala di Milano nella tradizionale “prima”. E nella forma del fiasco del debutto nel 1904. Il compositore e la moglie Elvira nel parlarono nelle lettere in cui emerge anche il legame con Monza e la Brianza.
Monza, Giacomo Puccini
Monza, Giacomo Puccini

Il 7 dicembre la “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini apre la stagione del Teatro alla Scala di Milano nella tradizionale “prima”. E nella forma, mai più ripetuta, del fiasco del debutto nel 1904.


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Giacomo Puccini, oltre ad essere un grande musicista, conosciuto e apprezzato universalmente attraverso le sue opere tra le più rappresentate nei teatri del mondo, è stato un gran cultore della “bellezza”. Alla passione per la musica affiancò quella per le automobili, per le donne, per la buona tavola e per i luoghi. Tra i luoghi che ha amato di più vi è la Brianza.


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Puccini, infatti, ebbe un forte legame con la Brianza che amava profondamente e che ebbe modo di conoscere in gioventù; quando, nell’autunno 1886, lasciata la natia Lucca, si rifugiò a Monza con la compagna Elvira, il suo più grande amore, pochi mesi prima della nascita del loro unico figlio, Antonio. Elvira, sposata con due figli ad un commerciante lucchese, lasciò il marito per seguire il compositore portando con sé la figlioletta minore; sposerà Puccini nel 1904, dopo quasi vent’anni di convivenza.

Per racimolare un po’ di soldi, Puccini intratteneva, suonando il pianoforte, gli ospiti delle ricche famiglie, proprietarie delle sontuose ville in Brianza, Elvira, invece, ricamava i corredi per fanciulle di buona famiglia.

I primi anni trascorsi in Brianza, seppur vissuti nella povertà, furono tra i più cari nella memoria di Puccini che da quell’esperienza trasse l’ispirazione per la “Bohème”. Dieci anni dopo, infatti, nei giorni trionfali di “Bohéme”, ricorderà con nostalgia quei rigidi giorni d’inverno trascorsi con Elvira a Monza. Così scriveva in una sua lettera:

Milano, 15 gennaio 1896
Cara Topisia,
ricordi quei giorni con Tonio appena nato, con Fosca piccola che tu non sapevi più cosa fare per farla smettere di piangere? Quel rigido inverno che ci faceva battere i denti? Quelle lunghe notti in cui tutt’e quattro dormivamo nel letto grande per scaldarci? Bei tempi quelli! Indimenticabili, quando pareva che tutta la vita ci sorridesse intorno e il mondo fosse tutto bello. Ho nostalgia di quei giorni così gelidi ma mai più così caldi.

Puccini divenuto poi ricco, nei giorni in cui era libero dal comporre, con la sua automobile, una Sizaire et Naudin acquistata nel 1905, partiva da Milano “… per scampagnate, inoltrandomi per la verde Brianza ….”, così scriveva alla moglie, dove trascorreva, in compagnia degli “amici monzesi” , tra cui i pittori Pompeo Mariani e Emilio Borsa e il soprano Gemma Bellincioni, o con i suoi collaboratori, intere giornate nei luoghi più incantevoli e caratteristici della campagna briantea.

Nelle sue lettere raccontava, spesso, di questi suoi svaghi, da cui riusciva a trovare l’energia necessaria per ritornare a “crear musica”. Molte delle sue “scampagnate” ebbero come meta alcune ville di delizia, dove all’ammirazione per l’architettura si aggiungeva quella per l’amenità del paesaggio.

Da una delle sue ultime lettere, scritta nella primavera del 1924, Puccini esprimeva il desiderio di poter assistere al Gran Premio d’Italia all’Autodromo di Monza. Ma gli impegni per terminare “Turandot” ed il sopraggiungere della malattia impedirono il realizzarsi di questo suo desiderio.

Pochi giorni dopo il matrimonio con Elvira, il 17 febbraio 1904, debuttò alla Scala “Madama Butterfly”. La vicenda ambientata in Giappone si svolge a Nagasaki “nell’epoca attuale”, come precisa la didascalia.
“E’ così vera, delicata, impressionante questa mia Butterfly che certo il pubblico ne sarà soggiogato!” Così scriveva Puccini ad Arturo Toscanini.

Protagonista il soprano Rosina Storchio, una delle interpreti più qualificate del repertorio pucciniano, in quegli anni coinvolta in un rapporto con Toscanini. Giovanni Zenatello, nel ruolo di Pinkerton, voce calda e pastosa. L’accoglienza da parte del pubblico scaligero fu delle più volgari.

Si legge nel periodico “Musica e musicisti” del marzo 1904: “ Grugniti, boati, muggiti, risa, barriti, sghignazzate, ecco qual è l’accoglienza che il pubblico della Scala fa al nuovo lavoro del maestro Giacomo Puccini. Dopo questo pandemonio, durante il quale pressoché nulla fu potuto udire, il pubblico lascia il teatro . Nell’atrio del teatro non mancano le fregatine di mani, sottolineate da queste testuali parole: Consummatum est ! Parce sepulto”.

All’indomani della prima, sui quotidiani si leggevano titoli di questo genere: “Puccini fischiato!”, “Fiasco alla Scala! ” “Butterfly opera diabetica, risultato di un incidente!”.

Puccini ne fui avvilito. Così scriveva Elvira alla sorella:

Milano 18 febbraio 1904
Mi pare di essere matta, Milano è l’inferno e sarei già scappata se non fosse egoismo abbandonare Giacomo nella sventura. C’erano Mascagni e Giordano: figurati che godimento. Maledetto quando gli venne in mente di darla alla Scala! Nel primo momento Giacomo si faceva più coraggio. Oggi è abbattuto e mi fa proprio compassione, povero Giacomo! Bisognerebbe incoraggiarlo e si fa più che si può. Ha dignitosamente ritirato lo spartito e ha restituito il nolo, ma l’opera la ridarà certamente.

Gli amici del maestro parlarono di linciaggio. Giovanni Pascoli gli mandò questi limpidi versi, garbatissimi e profetici:

“Caro nostro e grande Maestro, la farfallina volerà: / ha l’ali sparse di polvere, / con qualche goccia qua e là / gocce di sangue, gocce di pianto/ Vola, vola farfallina,/ a cui piangeva tanto il cuore; / e hai fatto piangere il tuo cantore./ Canta, canta, farfallina / con la tua voce piccolina,/ col tuo stridere di sogno,/ fievole come il sonno/ soave come l’ombra,/ dolce come una tomba,/ all’ombra dei bambù/ a Nagasaki e a Cefù”.

Puccini, sicuro di aver composto un capolavoro scriveva al suo editore:

Torre del lago, il 10 marzo 1904
Ora sono abbastanza tranquillo ad onta della batosta avuta, perché so di aver fatto un’opera viva e sincera, che risorgerà sicuramente. Ho questa fede. La mia Butterfly rimane qual’ è. L’opera più sentita e suggestiva che io abbia mai concepito! E avrà la rivincita, vedrai!

Tre mesi dopo, la Butterfly si impose al Teatro Grande di Brescia. La gloria della “Butterfly” era assicurata, la sua fama si diffuse come un incendio per tutto il mondo.


*testo a cura di Ettore Radice, presidente dell’Associazione Mnemosyne