L’eroe della Rivoluzione d’ottobre che scelse Monza per amore (e poi tradì tutti)

Feodor Šaljapin fu uno dei più grandi bassi lirici tra Otto e Novecento, il primo artista del popolo della Rivoluzione d’ottobre: per amore di Iole Tornaghi scelse Monza. Ma tradì lei e i bolscevichi.
Feodor Saljapin con i rivoluzionari nel 1920: è il quarto in piedi da sinistra
Feodor Saljapin con i rivoluzionari nel 1920: è il quarto in piedi da sinistra internet

Il giorno in cui Iole Tornaghi decise di danzare sul terrazzo di quell’albergo di Lucerna probabilmente non aveva pensato che sarebbe finita in Russia. E nemmeno che avrebbe incrociato Feodor Šaljapin. O ancora di più che sarebbe stata una protagonista involontaria della rivoluzione d’ottobre.

Iole Tornaghi, monzese, nata forse a Roma (le fonti non si mettono d’accordo, c’è chi dice direttamente a Monza e chi nella capitale, ma il cognome e le successive residenze denunciano senza dubbi il suo radicamento brianzolo): figlia amata ma più o meno ripudiata del barone palermitano Ignazio Lo Presti, costretto dalla famiglia ad abbandonare la moglie Giuseppina, stella del balletto con cui concepì la bambina nata il 31 dicembre 1873.

Di certo c’è che Giuseppina (figlia di Basilia, eroina delle barricate anti-austriache della Milano del 1848) per un po’ di tempo riuscì a mantenere gli studi della figlia Iole fino a mandarla per cinque anni alla scuola di balletto della Scala, la passione che aveva ereditato dalla madre. Poi no: il disincanto dell’ex marito palermitano costrinse la famiglia a fare i conti con le spese. Sui passi della madre, Iole non si diede per vinta: il teatro Eden di Milano, piccoli successi internazionali, La Fenice di Venezia e il San Carlo di Napoli. Ciao Scala, il successo arrivò d’altrove. E la portò vicino a Lucerna, un giorno del 1895, quando il compositore russo Sergej Vassilenko la vide danzare nel terrazzo. Un anno dopo grazie a lui arrivò in Russia, alla Fiera nazionale del commercio e d’Arte nella città di Niznij Novgorod.

Le traiettorie del destino le fecero incontrare quello che sarebbe diventato una leggenda della lirica russa: Feodor Šaljapin, basso allora giovanissimo ma oggi – passate le epoche – ancora celebre quanto basta perché a Mosca un museo racconti la sua vita. Tutto quello che è accaduto dopo è tutt’altro che una storia semplice. Ma è la storia di una monzese che ha incrociato il suo destino con un protagonista della rivoluzione d’ottobre.

Per lui fu amore a prima vista. Di quella Fiera scrisse poi nella sua autobiografia che «tra le ballerine italiane ce n’era una che mi piaceva tanto. Danzava meravigliosamente bene, meglio di tutte le ballerine dei teatri imperiali. Era sempre triste. Pensavo che non si trovasse bene in Russia… Durante le prove mi avvicinavo a quella signorina e le dicevo tutte le parole italiane che conoscevo in termini musicali: allegro, andante, religioso, moderato» riporta la giornalista e storica Irina Barancheeva, che ha dedicato molte pagine alla storia della ballerina italiana e del cantante lirico russo. Una storia di corteggiamento che passa da una malattia di lei e dal brodo di pollo salvifico portato a domicilio da lui, ma soprattutto da quella sera in cui il basso interpretava “Eugenio Onegin” nella parte di Gremin e piuttosto che cantare “Onegin, la menzogna è vana, amor possente ho per Tat’jana”, recitò “Onegin, giuro sulla spada, amor possente ho per Tornaghi”.

Il matrimonio sarebbe arrivato il 27 luglio del 1898. Nel frattempo Iole Tornaghi aveva già danzato negli Stati uniti (la beautiful Tornaghi, per il “New York Times” e il “Sunday Herald”e in Europa) prima di diventare prima ballerina dal 1896 al 1898 all’Opera russa di Mamontov di Mosca.

Fino alla rivoluzione di ottobre la coppia passò la vita tra Russia, Europa e Stati uniti. Lei aveva già deciso di abdicare dalle punte: prima la famiglia, prima la carriera del marito. Cinque figli da ascoltare, a partire da Igor, il primogenito, morto troppo presto (nel 1903) mettendo già in crisi il matrimonio. Ma Iole riuscì ad andare oltre, a fianco della stella della lirica che Arturo Toscanini – con cui Šaljapin interpretò il Mefistofele di Arrigo Boito alla Scala nel 1901 – avrebbe poi descritto come il più grande talento operistico con cui aveva lavorato. La famiglia fece i conti con la rivoluzione d’ottobre. Il lirico russo non aveva mai nascosto il suo appoggio alla causa bolscevica. Anzi: quando i rivoluzionari lo misero sotto accusa per essersi inginocchiato a teatro verso lo zar, ci pensò il suo amico di sempre, Maksim Gorkji (il futuro maestro del realismo socialista nell’arte e nella letteratura), ad assolverlo in un improvvisato processo del popolo a Capri. Assolto, tanto è vero che dopo la presa del Palazzo d’inverno Šaljapin sarebbe stato nominato Narodnyj artist Respubliki, artista del popolo, incaricato di ricostruire teatri e cultura lirica nella nuova Unione sovietica.

Quel titolo l’avrebbe perso qualche anno dopo, nel 1921, quando decise di vivere in occidente: c’era già stato, e aveva apprezzato quella vita, anche quando riposava a Monza, al Molinetto 270, l’indirizzo che mandava ad amici e parenti per la corrispondenza, in una casa di proprietà: proprietà Tornaghi, pare di intuire. Quegli anni di successi internazionali per la famiglia di Iole sarebbero finiti poco dopo. O meglio: erano già finiti. Da tempo la monzese aveva scoperto che la star della lirica con cui aveva condiviso Russia, rivoluzione, figli era bigamo: aveva sposato anche la tedesca Maria Petzold, con cui avrebbe poi avuto altri figli nella famiglia sistemata a San Pietroburgo, lontano dalla Mosca di Iole. Il giorno in cui arrivarono le carte del divorzio fu quello più difficile: il 1926. Šaljapin aveva tradito la rivoluzione bolscevica, viveva in Europa, la monzese aveva deciso che la sua casa era Mosca, nonostante i Soviet avessero stabilito di sequestrare la casa in cui aveva vissuto con il cantante lirico.

Lei decise di non rinunciare alla sua storia: restò a Mosca, in quella casa, in una stanza, barcamenandosi tra il lascito di Šaljapin, la pensioncina che le sarebbe stata poi assegnata dall’Unione sovietica, i soldi arrivati dai figli che avrebbero poi percorso i sentieri dell’arte. Il figlio diventato ritrattista per il Times negli Usa, l’attore che tutti ricordano nei panni dell’omicida del “Nome della rosa”, Jorge da Burgos, cioè Feodor Feodorovič Šaljapin. Lasciò l’allora capitale sovietica solo nel 1960 per spostarsi a casa di un figlio a Roma, ammalata, per morire nel 1965. Quando lasciò Mosca gli artisti del Bolshoji la salutarono alla stazione riempiendo la sua carrozza di fiori. Oggi è un museo, con il suo abito da sposa, a raccontare la sua vita.