La lingua parlata dal tempo: Arturo Vermi alla galleria civica di Monza

VIDEO Una ricca antologica di Arturo Vermi alla galleria civica di Monza, in via Camperio, curata da Simona Bartolena: fino al 26 febbraio.
Un dettaglio di “Diario” del 1974
Un dettaglio di “Diario” del 1974

Tic tac. Tic tac. Tic tac. Quando Arturo Vermi adotta il suo alfabeto di linee sincopate su una tela o su qualsiasi altro supporto, sembra parlare la lingua di Lucio Fontana, che affondando una lama sul cotone o nella ceramica, o disegnando la luce con i neon, raccontava come lo spazio avesse altre dimensioni che non la baseperlunghezza che l’arte, fino ad allora, aveva rappresentato.

In realtà quei segni scalfiti sulla superficie dicevano altro, e Vermi lo avrebbe spiegato più chiaramente più tardi, con l’Annologio: non era interessato fino in fondo dallo spazio, stava parlando soprattutto del tempo, della sua scansione, dei suoi ictus e dei suoi inciampi. Del suo essere sempre uguale a se stesso eppure diverso: il racconto universale di sé, di ogni sé.

Come “Paesaggio” del 1975: uno spazio bianco, un singhiozzo rapido, un rettangolo argentato: un paesaggio innevato, il passo che increspa il silenzio, il respiro che si allarga. Oppure un sogno: il vuoto che si riempie di un affanno accelerato, un pausa calma al malessere. Oppure quel “Diario” di un anno prima: il fondo è d’oro per dire che c’è sempre il meglio ad aspettarci, basta volerlo. In mezzo la scansione irregolare e imperfetta del tempo che scandisce lo spazio – i minuti – in maniera precisa ma mai identica a se stessa.

Vermi racconta questo: che il tempo va ascoltato e c’è un modo per descriverlo, quei tratti regolari ma mai perfetti che gestiscono la vita di tutti. Per guardarlo e capirlo c’è una mostra: aperta giovedì 19 gennaio alla Galleria civica di via Camperio, a Monza, raccogliendo opere che raccontano l’intera carriera dell’artista che nato a Bergamo e passato dalla Brera del bar Giamaica ha scelto lo sprofondo della Brianza, tra Verderio e Paderno d’Adda, alla ricerca di una felicità fatto di riappropriazione del tempo privato. La mostra “Lo spazio e il tempo – La ricerca di Arturo Vermi dal Cenobio alla Felicità” promossa dal Comune di Monza in collaborazione con l’Associazione Arturo Vermi e realizzata con il sostegno di Leo Galleries e di Totem Immobiliare, curata da Simona Bartolena, è aperta dal 20 gennaio al 26 febbraio (da martedì a venerdì 15-19, sabato e festivi 10-13 e 15-19).

Dopo il 1964, «abbandonati i retaggi dell’informale, Vermi (scomparso a ottobre 1988) ritrova il suo segno: un segno inconfondibile, di straordinaria efficacia, in cui risiede l’essenza stessa della sua ricerca – scrive Simona Bartolena riferendosi alla scelta stilistica più iconica di Vermi – . Innanzi tutto c’è la sua meravigliosa capacità di sintesi: una sintesi perfetta, assoluta, che sa includere in un unico tratto tutta la conoscenza. Nei segni essenziali, ridotti a un unico sicuro gesto, di Vermi si nasconde la memoria collettiva, essi sono luoghi nei quali la dimensione universale incontra quella privata, la vita reale – quella sostanza fisica che Vermi non perderà mai di vista – si apre alla luce eterna dell’oro. Sono i segni reiterati e ossessivi dei Diari, ma anche quelli singoli, esatti, delle Presenze e delle Marine e quelli nervosi, più dinamici e rapidi, dei Paesaggi». Poi c’è il tempo, ricorda Bartolena, «il tempo scandito dal gesto: un tempo non sempre regolare ma comunque inesorabile. C’è il ritmo del tempo, quello lento della meditazione e quello rapido e sincopato della vita quotidiana…».

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